CATANIA – Domenica 13 Marzo alle 18:30, presso la chiesa Stella Maris in via Plutone, si terrà la presentazione del libro “Voci dal silenzio” che racconta il viaggio singolare iniziato nel 2010 da Joshua Wahlen e Alessandro Seidita. L’intenzione dei due giovani registi era quella di portare a compimento un documentario con interviste agli eremiti d’Italia. Una sorta di ricerca etno-antropologica sulle tracce di «monaci, alchimisti, sufisti e curanderi» investigando su questi strani tipi che le cronache ci restituiscono sempre con la classica barba bianca, dei vestiti consunti e, quando non assorti nella preghiera, aggrovigliati in forme di mortificazione estrema.
A spingerli forse anche un pizzico di morbosità e l’intimo convincimento di poter diradare le brume di quelle bizzarre scelte di vita grazie a un approccio dialettico deciso e poco sussiegoso. Ma quel primo tratto di strada fu breve. In seguito decidono di acquistare un altro camper e sei anni dopo sentono la necessità di intercettare di nuovo quelle esperienze ascetiche, ma con lentezza e gradualità, in modo da dilatare quel cammino nello spazio e nel tempo.
Su
quell’esperienza si struttura prima il documentario che, uscito nel 2018, ottiene numerosi riconoscimenti internazionali e ora un libro, Voci dal silenzio (TEA edizioni, p. 240), in cui grazie alla posata compiutezza della parola scritta
possiamo approssimarci alla sorgente che alimenta questo rinnovato senso del vivere umano.
C’è però uno snodo in questa vicenda. Il vincolo prestabilito tra intervistatore e intervistato viene sotterrato da Padre Isacco con la più ingenua e disarmante delle domande: «Siete dei pellegrini?». Inizia sin da subito a fibrillare qualcosa nei due viaggiatori, che li porta a far maturare una diversa dimensione d’ascolto. In realtà, sono gli stessi eremiti a predisporre – forse in maniera inconsapevole – un cammino di comprensione reciproca e a non limitarsi al racconto della loro esperienza di isolamento, anche perché ogni eremitaggio si svela denso di esperienze pregresse: c’è chi viene da una vita coniugale, chi dalla vita monastica, chi da una condizione disordinata e dissoluta. E poi, nonostante rassomiglianze formali (vangano, seminano la terra, cucinano, si procurano la legna e l’acqua, scolpiscono la pietra, disegnano icone, lavorano il cuoio), hanno poco o nulla degli asceti di mille anni fa. In molti eremi sono infatti predisposte delle stanze ad accogliere gli ospiti e alcuni eremiti possiedono un cellulare per mantenere contatti con l’esterno.
Eppure, non solo dai silenzi o dalle risposte criptiche, ma anche da quelle più disarmanti e banali che si riesce a percepire un tratto unitario che svela una prima verità: la fuga non è negazione della realtà ma possibilità per un nuovo sguardo di osservazione. Si entra in un eremo per lasciare la vita ma solo dopo averla conosciuta e per riconsegnarsi al mondo in una forma più autentica e vera.
Così si presenta Suor Paola, che vive dalle parti di Saluzzo, in un ex essiccatoio per castagne trasformato in baita. Aveva un marito e tre figlie e ora offre sostegno a giovani coppie e famiglie in difficoltà. Antonio, invece, alterna periodi solitari ad altri in cui si concede al contatto con i fedeli mentre Maurizio, che si è rifugiato in un piccolo comune dell’entroterra calabrese, si propone come guida senza chiedere denaro.
A fare il definitivo passo in avanti è Frederic Vermorel dell’Eremo di Sant’Ilarione con esperienze in comunità monastiche sparse per il mondo. Laurea in Scienze politiche, giornate scandite dalla liturgia delle ore e dal suono della cetra, Frederic passa molto tempo a tradurre testi filosofici in diverse lingue ma, alla fine, spiega: «Siamo sempre figli del nostro tempo, di un tempo preciso. L’atemporalità non esiste. E c’è un cambiamento sia perché ciascuno di noi, prima di essere eremita, era altro – abbiamo tutti una storia e una preistoria, siamo figli di una famiglia, abbiamo avuto degli amici, possibilmente un mestiere –, sia perché cambia il contorno, le cianfrusaglie cambiano. Cinquant’anni fa un eremita su Facebook non c’era».
Nel viaggio di ritorno, quando i due registi si allontanano definitivamente da quei posti, sono le parole di un eremita che ha preferito rimanere anonimo a dar loro la chiave di decifrazione del tutto: «Quando si prende lentamente coscienza della nostra finitezza, del nostro essere nulla, se non veniamo paralizzati da quel primo turbamento, poi c’è solo meraviglia».
La stessa meraviglia che segna il ricordo di Rosalba che vive in una grotta a fianco del santuario della Madonna di Oulx. Con sé, solo un vecchio materasso, qualche coperta e una piccola lampada ad olio per la notte.
L’eremita, nell’immaginazione popolare, e anche quella intellettuale, è un personaggio pittoresco, alieno, magari affascinante ma vittima di una qualche allucinazione religiosa o spirituale, che lo rende inadatto alla “vita vera”, attiva, sociale, lavorativa. Lo si vede come un essere umano in fuga, per lo più. Quando invece, quasi sempre, si tratta di persone che vanno a esplorare il nucleo, l’essenza della vita, la sua verità, il senso, la paura e la speranza, la bellezza indicibile.
In realtà entrare nel silenzio e la solitudine, in mezzo alla natura, aiuta a “tornare alla compagnia umana con un cuore e con occhi diversi, finalmente umani”, come dice Giancarlo Bruni, dell’Eremo delle Stinche: “in me c’è un anelito profondo alla vita buona e c’è una nostalgia d’infinito”. Chi l’ha assaggiata, quella nostalgia, sa che non è più possibile farne a meno, nasce il bisogno di gustarla di nuovo e poi di viverla fino in fondo (con tutto il coraggio che ci vuole, altro che fuga, gli alienati e allucinati siamo noi).
Tutto questo e molto di più ci racconta “Voci dal silenzio”, il libro che Alessandro Seidita e Joshua Wahlen hanno scritto per ricostruire il loro “Viaggio tra gli eremiti d’Italia” (prima del libro c’era l’omonimo film, che abbiamo anche avuto il piacere di ospitare ad Aquerò – lo spirito del cinema). Tra quelle pagine si incontrano anche voci rimaste fuori dal film, e il racconto (sensibile e ben scritto) del percorso che ha accompagnato la ricerca.
Non un libro da “consumo culturale”, per riempirci la giornata, come non lo era il film, ma pagine che riservano anche squarci improvvisi, parole che risuonano dentro, incontri con uomini e donne – eremiti! – davvero straordinari.