Ricerca scientifica, volontari si fanno infettare di proposito con il coronavirus. Ecco i risultati dello studio

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I risultati, che in generale hanno confermato i dati già esistenti sull’infezione occasionale, hanno concesso l’opportunità di verificare anche la validità dei test diagnostici. Il prossimo passo potrebbe essere ripetere l’esperimento su soggetti vaccinati

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Qual è esattamente la storia naturale di un’infezione da coronavirus? Come cambiano i parametri sanguigni nel corso dei giorni, come cambia la carica virale nella gola e nel naso? A queste domande si può rispondere meglio se si conosce il momento esatto dell’infezione e se il paziente può essere osservato per tutto il tempo. I cosiddetti human challenge study (studi di infezione umana controllata) fanno proprio questo: i partecipanti sono deliberatamente esposti a un agente patogeno. I risultati del primo studio di questo tipo su SARS-CoV-2 sono stati resi disponibili su un server di preprint.

Nello studio, il gruppo guidato da Christopher Chiu dell’Imperial College di Londra descrive come ha infettato 36 volontari tra i 18 e i 29 anni con l’agente patogeno di COVID-19. Durante la quarantena successiva, a intervalli regolari gli uomini e le donne sono stati esaminati per verificare lo stato dell’infezione e la loro contagiosità, oltre a essere interrogati sui loro sintomi.

Il significato dello studio per l’attuale pandemia è limitato, tuttavia, perché per il loro esperimento, effettuato a inizio 2021, Chiu e colleghi hanno usato una variante “pre-Alfa” del virus, che ancora in gran parte corrispondeva al tipo selvaggio originale del virus. Le infezioni con Delta od Omicron potrebbero avere un decorso temporale diverso e portare a risultati differenti. “Eppure, in linea di principio, pensiamo che il nostro studio sia rappresentativo di questo tipo di infezione”, ha dichiarato Chiu in un comunicato stampa dell’Imperial College.

Il suo gruppo ha usato la più piccola quantità di virus in grado di causare l’infezione per inoculare ai partecipanti il SARS-CoV-2. E corrisponde alla quantità di virus che una persona malata ha in una singola goccia di secrezione nasale durante la fase più infettiva, scrivono gli scienziati.

Un forte aumento della carica virale
Questa quantità standardizzata di virus, fatta gocciolare nel naso delle persone da testare, ha portato a un’infezione in 18 di loro, cioè la metà. I decorsi gravi non si sono verificati nella maggior parte dei ventenni; 16 hanno riportato sintomi “da lievi a moderati”, tra cui le classiche manifestazioni di una malattia COVID-19 lieve come sintomi da raffreddamento, febbre, mal di testa e dolori agli arti. In 13 soggetti si è verificata una perdita dell’olfatto e del gusto.

Gli esperti hanno prestato particolare attenzione all’esatto corso temporale dell’infezione. Hanno scoperto che in media, i primi virus sono stati trovati nella gola delle persone infette già 42 ore dopo il contatto con il patogeno. Dopo di che, la quantità di virus nel naso e nella gola è aumentata bruscamente, fino a raggiungere un massimo intorno al quinto giorno. Un periodo di incubazione così rapido è emerso di recente anche negli studi sulla diffusione della variante Omicron. Nei test di laboratorio, Chiu e il suo gruppo hanno rilevato virus contagiosi fino a nove giorni dopo l’inoculazione e in alcuni anche fino a 12 giorni dopo. Inoltre, [essendo un parametro soggettivo, NdR] la misura in cui una persona sottoposta al test soffriva dei sintomi non permetteva di trarre conclusioni sulla diffusione del virus nelle vie respiratorie; quindi anche chi non ha sintomi può essere contagioso.

Una procedura controversa
Infettare volontari sani, anche se il rischio è basso, è discutibile da un punto di vista etico. Nella fase iniziale, lo studio del gruppo di Londra è stato quindi molto controverso. In passato sono stati effettuati esperimenti simili, per esempio con l’influenza o la malaria. Di regola, però, un farmaco il cui effetto deve essere testato viene somministrato ai partecipanti in anticipo. Chiu e colleghi avevano originariamente sperato che il loro studio avrebbe potuto far progredire lo sviluppo di vaccini; tuttavia, lo studio ha dimostrato di non essere più necessario già nel corso della sua preparazione.

Ancora non ufficialmente sottoposto a peer-review, lo studio ha ricevuto una risposta positiva su Twitter nelle prime ore successive alla pubblicazione. In particolare, i risultati sul tasso di moltiplicazione del virus hanno suscitato interesse. Il gruppo di Chiu ha registrato numerosi altri parametri, come l’andamento temporale della risposta del sistema immunitario. Qui, i risultati sono ampiamente in linea con le aspettative degli esperti.

Infine, gli scienziati hanno messo alla prova i test antigenici rapidi disponibili in commercio. In linea con l’esperienza diffusa, i test non hanno fornito un risultato affidabile nella fase iniziale dell’infezione. Di solito, solo dopo circa due giorni dall’infezione i test rapidi danno un risultato affidabile, quando la carica virale aumenta.

Il gruppo, che lavora in collaborazione con altri istituti di ricerca britannici, è in procinto di avviare uno human challenge study con la variante Delta. Sono previsti anche studi di follow-up per chiarire perché alcuni volontari sono stati infettati, mentre in altri la dose somministrata non ha avuto alcun effetto. Inoltre, si sta esplorando la fattibilità di human challenge study sulle infezioni postvaccinali.

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