All’origine della variante Omicron

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I numerosi cambiamenti nella proteina spike che caratterizzano questa variante del coronavirus potrebbero essere emersi in tempi relativamente rapidi in una popolazione isolata, in una persona immunocompromessa, o in animali. E sono anche un campanello dall’allarme sulle disuguaglianze vaccinali

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Il 25 novembre, scienziati sudafricani hanno annunciato la scoperta di una nuova variante del coronavirus, “pesantemente mutato”, scatenando il panico globale. Alcuni paesi hanno rapidamente imposto divieti di viaggio e chiuso i loro confini, ma la variante è già stata rilevata in quasi 40 nazioni, almeno.

Una ragione per queste reazioni istintive è l’alto numero di mutazioni nella nuova variante: Omicron, come è stata denominata dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), ha più di 30 modifiche alla sua proteina spike. Questa proteina permette al virus di infettare e prendere il controllo delle cellule umane, ed è anche l’obiettivo della maggior parte dei vaccini. Si pensa che siano stati i cambiamenti nella proteina spike delle varianti precedenti, come Delta e Alpha, a rendere il virus più infettivo e ad aumentarne la probabilità di eludere il sistema immunitario e i vaccini.

Non è ancora chiaro se Omicron sia più trasmissibile, o se causi malattie più gravi rispetto alle varianti precedenti, o se renderà i vaccini meno efficaci. Ma un nuovo studio di alcuni scienziati sudafricani uscito in preprint – e dunque non ancora pubblicato in una rivista scientifica – suggerisce che Omicron triplichi la probabilità che le persone vengano reinfettate.

Le mutazioni si sviluppano spontaneamente quando un virus si replica e si diffonde, ma gli scienziati stanno cercando di capire come siano emerse così tante mutazioni in Omicron in un periodo di tempo apparentemente tanto breve.

“La domanda riguarda come sia avvenuta questa [rapida evoluzione], dove si sia verificata e quali siano state le condizioni che l’hanno alimentata”, dice Gonzalo Bello, virologo all’Instituto Oswaldo Cruz a Rio de Janeiro. Bello ha fatto parte del gruppo che ha seguito l’ascesa della variante Gamma in Brasile nel novembre 2020, che ha alimentato focolai in quel paese. Con Gamma, “ci siamo resi conto che le mutazioni non sono apparse in un unico passaggio in un singolo individuo”, spiega Bello. Invece, alcune mutazioni si sono verificate in alcuni individui ma non in altri. L’aumento di Gamma “è stato un processo che si è verificato in una popolazione di individui, non in una singola [persona]”.

Una possibilità per lo sviluppo di una variante pesantemente mutata, come Omicron, è che il virus abbia iniziato a circolare e mutare in un gruppo isolato di persone, dove avrebbe avuto l’opportunità di cambiare drammaticamente rispetto alle varianti al di fuori di quella bolla. In seguito il virus potrebbe essere stato introdotto, con le sue numerose mutazioni, nella popolazione più vasta, dove è stato in grado di viaggiare in diversi gruppi e paesi, spiega Bello.

In alternativa, il virus potrebbe essere mutato in modo significativo in un singolo individuo prima di trovare un nuovo ospite. “Questo – hanno scritto in risposta a domande poste via e-mail Anna-Lise Williamson, docente di vaccinologia all’Università di Città del Capo, ed Ed Rybicki, direttore dell’unità di ricerca in biofarmacologia di quell’università – potrebbe accadere in una persona immunodepressa”, come qualcuno affetto da HIV. Il Sudafrica è alle prese con la più grande epidemia di HIV del mondo, con più di sette milioni di persone infettate dal virus. Anche i paesi vicini hanno diffuse infezioni da HIV. Questo ha portato alcuni scienziati a ipotizzare che la variante Omicron sia emersa in Africa meridionale perché è stata identificata per la prima volta lì, ma da allora sono stati identificati casi più vecchi in paesi europei e negli Stati Uniti.

Le persone in salute hanno molte cellule immunitarie chiamate cellule T CD4+, che stimolano un altro tipo di cellule, le cellule T killer, spiegano Williamson e Rybicki. Nelle persone in salute colpite da COVID, queste cellule T killer distruggono le cellule infettate dal virus. Ma nelle persone immunocompromesse, che hanno un basso numero di cellule T CD4+, “il virus stabilisce un’infezione persistente” a causa della mancanza di risposte dalle cellule T killer. Il loro sistema immunitario, tuttavia, produce alcune cellule immunitarie chiamate cellule B che innescano una risposta anticorpale e questo, secondo Williamson e Rybicki, “porta a una corsa agli armamenti tra il virus e gli anticorpi”. La debole risposta delle cellule B non crea abbastanza anticorpi per eliminare completamente il virus, di conseguenza la sequenza genetica che codifica per la proteina spike del virus subisce la pressione a mutare per sfuggire agli anticorpi.

Ci sono alcune prove a sostegno di questa idea. In uno studio in preprint pubblicato a giugno, ricercatori sudafricani hanno descritto una donna sieropositiva che ha avuto un’infezione da SARS-CoV-2 per più di sei mesi. Durante questo periodo, il virus in lei si è evoluto e ha sviluppato una serie di mutazioni, alcune delle quali sulla proteina spike.

Un’altra possibile ipotesi su come il virus abbia rapidamente guadagnato così tante mutazioni è che si sia riversato in un serbatoio animale prima di reinfettare gli esseri umani, dice Bello. Prove convincenti suggeriscono che il SARS-CoV-2 originale probabilmente si è sviluppato in un pipistrello, e ci sono stati numerosi casi di altri mammiferi selvatici e domestici che hanno contratto il virus. L’anno scorso, ci sono state segnalazioni di focolai di coronavirus negli allevamenti di visoni in Nord America e in Europa, e nei Paesi Bassi c’è stato un caso confermato di visone che ha infettato un lavoratore dell’allevamento.

Omicron potrebbe essere saltato dagli animali agli esseri umani in questo modo, dice Bello. “In un’altra specie, il virus dovrà affrontare un diverso tipo di pressione immunitaria, e quindi potrebbe accumulare alcune mutazioni abbastanza velocemente”, osserva. Al momento, tuttavia, questa idea è più che altro una congettura.

Per capire dove sia emersa la variante Omicron, può essere d’aiuto determinare il primo paziente umano o comunità in cui si è diffusa. Ma è difficile identificare il paziente zero per una variante, dice Akiko Iwasaki, docente di immunobiologia e biologia molecolare, cellulare e dello sviluppo alla Yale University: “Questo perché gli sforzi di sorveglianza virale catturano solo una frazione delle persone infette”. Una volta testato un maggior numero di persone e sequenziati i loro genomi virali, si potrà individuare un’area geografica generale e un tempo approssimativo di quando il virus è mutato in Omicron, aggiunge Iwasaki.

Per Michael Head, senior researcher in salute globale all’Università di Southampton, nel Regno Unito, Omicron è un campanello d’allarme sulla disuguaglianza vaccinale e sulla necessità di un maggiore accesso ai vaccini. Secondo la piattaforma Our World in Data dell’Università di Oxford, al 30 novembre sono state somministrate globalmente circa otto miliardi di vaccinazioni, ma solo il sei per cento delle persone nei paesi a basso reddito ha ricevuto almeno una dose. Secondo gli African Centers for Disease Control and Prevention, nei paesi africani sono state somministrati più di 235 milioni di vaccini, ma la popolazione del continente è di oltre 1,2 miliardi di persone.

Le principali varianti che finora hanno causato preoccupazione – fondamentalmente, Alpha a Delta – sono emerse da focolai incontrollati in popolazioni non vaccinate, nota Head. “È lì che COVID-19 prospera meglio e il virus ha la maggiore possibilità di mutare. Se [il vaccino] può tenere sotto controllo i focolai, si riducono queste opportunità.”

Il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha fatto eco a questi sentimenti il 28 novembre: “La variante Omicron riflette la minaccia di un’ingiustizia vaccinale prolungata”, ha scritto in un tweet. “Più tempo impieghiamo per realizzare #VaccinEquity, più permettiamo al virus #COVID19 di circolare, mutare e diventare potenzialmente più pericoloso.”

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