Un gruppo di ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica ha scoperto potenti getti emessi da due buchi neri supermassicci attivi – noti come quasar – in un’epoca remotissima, ovvero quando l’universo aveva circa un miliardo di anni. I buchi neri osservati sono ad oggi i più massicci conosciuti a una tale distanza da noi
In un articolo in corso di pubblicazione sulla rivista Astronomy & Astrophysics, quattro ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) presentano il loro studio realizzato grazie ai dati raccolti con il radiotelescopio Karl Jansky Very Large Array (JVLA) che è stato puntato su alcuni nuclei galattici attivi (AGN, dall’inglese active galactic nuclei) molto distanti da noi – in un’epoca compresa entro il primo miliardo di anni dal Big Bang – con al centro dei buchi neri supermassicci tra i più grandi conosciuti a quella distanza. I ricercatori hanno concentrato la loro attenzione su due particolari quasar (quasi-stellar radio source), che possiedono masse pari a 10 miliardi di volte quella del Sole e che non mostravano la chiara presenza di getti, almeno secondo i metodi di classificazione standard. Ma i ricercatori sapevano di dover cercare in maniera diversa, per scovare dei getti relativistici nascosti.
I quasar sono delle sorgenti energetiche che si trovano nel cuore delle galassie. La loro luce viene prodotta quando il materiale galattico che circonda il buco nero supermassiccio si raccoglie in un disco di accrescimento. Infatti, nell’avvicinarsi al buco nero per poi esserne inghiottita, la materia si scalda raggiungendo temperature fino a qualche centinaio di migliaia di gradi centigradi ed emettendo grandi quantità di radiazione brillante nella luce visibile e ultravioletta.
Ed è proprio da alcuni di questi buchi neri al centro degli AGN che provengono i getti relativistici, delle potenti espulsioni di plasma ed energia che viaggiano a velocità prossime a quella della luce (e detti per questo relativistici) che possono estendersi a distanze comparabili con quelle della stessa galassia ospite. Questi getti sono particolarmente brillanti nelle onde radio, da qui la definizione di “radio-forti” (radio- loud). C’è da dire, però, che i quasar radio-loud sono la minoranza nell’universo (il 10% di tutti quelli conosciuti), perlopiù i nuclei attivi non mostrano getti relativistici e sono quindi radio-quiet (come se stessero in silenzio radio). Gli astronomi sanno, però, che dalla quiete può nascere una tempesta ed è proprio lì che sono andati a cercare dei getti di energia.
Tullia Sbarrato, prima autrice dell’articolo e ricercatrice presso l’INAF di Milano, spiega: “Uno dei grandi misteri dell’astrofisica è come le più grandi strutture si formino nelle prime fasi di vita dell’universo. In particolare, osserviamo da più di vent’anni buchi neri supermassicci in accrescimento (quasar) con masse di qualche miliardo di volte la massa del Sole vivere ed evolversi nel primo miliardo di anni di vita dell’universo, eppure ancora non sappiamo come riescano ad assemblare così tanta massa in così poco tempo. Questo non è il solo interrogativo riguardante i quasar nell’universo giovane: un’altra questione aperta riguarda la presenza di getti relativistici in queste popolazioni primordiali. Soltanto il 10% di queste sorgenti è associata a getti di radiazione e materia in moto a velocità relativistiche che vengono generati ed accelerati nelle vicinanze del buco nero”.
La schiera di radiotelescopi che costituiscono il JVLA, situato a Socorro (Nuovo Messico, USA) permette di effettuare delle osservazioni profonde in banda radio ad alta risoluzione, ed è quindi lo strumento ideale per cercare con precisione i getti relativistici là dove si nascondono. Gabriele Giovannini, dell’INAF di Bologna e professore presso l’Università di Bologna, sottolinea: “JVLA ci ha svelato che effettivamente, nonostante fossero ben nascosti e non si fossero lasciati intorno nessun indizio, entrambi questi quasar hanno dei getti relativistici, per di più decisamente potenti! è stata decisamente una bella sorpresa”. Le due sorgenti sono denominate SDSS J0100+2802 e SDSS J0306+1853.
Dopo aver confermato la loro teoria, i ricercatori hanno studiato le caratteristiche dei getti individuati, derivandone l’orientamento nel cielo per poter fare una stima di quante sorgenti analoghe a queste possano esistere alla stessa distanza dalla Terra. Sbarrato aggiunge: “Abbiamo scoperto che i ‘fratelli’ di questi due quasar sono numerosi come o forse anche più di quello che ci si aspetta dalle simulazioni teoriche che indicano la distribuzione nell’universo di questo tipo di sorgenti a partire da quanto osservato finora. Le nostre indagini ci stanno forse suggerendo che tutti i buchi neri più massicci nell’universo giovane hanno un getto relativistico che li accompagna? Sembra proprio di sì. Non solo, potrebbero nascondersi proprio sotto i nostri occhi, visto che le condizioni di quelle fasi dell’universo non permettono loro di lasciare tracce abbastanza luminose da entrare nei grandi cataloghi a tutto cielo su cui normalmente vengono cercati. Forse l’unico indizio che abbiamo per trovarli è proprio la loro massa estrema”, conclude la ricercatrice.