Scienza, il bosone di Higgs alla stretta finale?

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Secondo insistenti indiscrezioni, il Large Hadron Collider avrebbe trovato le prove della sfuggente “particella di Dio”, la cui massa si aggirerebbe sui 125 GeV, nell’ambito quindi dei valori previsti dal modello standard. In attesa di dichiarazioni ufficiali, previste per il 13 dicembre, i responsabili del CERN sono cauti, e parlano solo di significativi progressi verso la scoperta.

Nelle scorse settimane si sono fatte più insistenti le voci secondo cui due esperimenti condotti con il Large Hadron Collider (LHC) – le collaborazioni ATLAS e CMS, dirette da due italiani, rispettivamente Fabiola Gianotti e Guido Tonelli – avrebbero trovato, uno indipendentemente dall’altro, prove dell’esistenza del bosone di Higgs, e che esso avrebbe una massa pari a circa 125 GeV, un valore che rientra nel range previsto dal modello standard della fisica delle particelle

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Di fronte a questi rumors  –  ripresi, tra gli altri, anche sulla rivista “Nature”, e che si sono moltiplicati all’avvicinarsi del 13 dicembre, data per cui è fissato un seminario in cui verranno presentati i progressi dei due esperimenti ATLAS e CMS  –  i responsabili del CERN sono estremamente cauti facendo trapelare che l’analisi di affidabilità dei dati raccolti – i livelli di confidenza o sigma come viene chiamato in gergo – rappresentano “un significativo progresso nella ricerca del bosone di Higgs, ma non abbastanza per poter affermare in modo conclusivo l’esistenza o la non esistenza dell’Higgs”, come avrebbe affermato in una mail indirizzata ai collaboratori del CERN il suo direttore generale Rolf-Dieter Heuer. Ossia, ci sarebbero dati che depongono con forza per la sua esistenza, ma non tali da poterne affermare la “scoperta”.

Tanta cautela è spiegabile con il fatto che la vita del bosone di Higgs è brevissima; che ciò che si osserva non è direttamente la particella, ma i prodotti del suo decadimento nelle interazioni con le altre particelle; che l’osservazione di queste interazioni richiede di filtrare i pochi eventi che possono riferirsi all’Higgs fra molti miliardi più o meno simili; che l’LHC è di gran lunga la macchina più complessa mai costruita dall’uomo e che quanto più cresce la complessità, tanto più bisogna far attenzione alle possibili fonti di errore; e che tutti i dati alla fine raccolti vanno considerati alla luce di attente considerazioni statistiche.

Il bosone di Higgs rappresenta da molti anni il pezzo mancante al modello standard, secondo il quale la massa delle particelle elementari deriva da un unico tipo di interazione con un campo quantistico che permea tutto l’universo, il campo di Higgs, di cui il bosone sarebbe appunto il vettore.

L’importanza della conferma sperimentale dell’esistenza del bosone di Higgs  –  ipotizzata nel 1964 dal fisico scozzese Peter Higgs – è legata in parte alla circostanza che è l’unica particella prevista dal modello standard che non sia ancora mai stata osservata, ma ancor più al fatto che dalla sua esistenza dipende la coerenza del modello, tanto da essere stata addirittura soprannominata, con una certa esagerazione, “la particella di Dio”.

Considerati i numerosi successi di questo modello, i fisici sono convinti della sua esistenza, ma purtroppo dal modello non è possibile dedurre la massa del bosone stesso, una circostanza che ha rappresentato un’ulteriore difficoltà per la sua scoperta, dato che i fisici non sapevano “dove” cercarlo, ossia in quale range di energie.

Le prime ricerche erano state condotte con gli acceleratori LEP (Large Electron-Positron Collider) del CERN a Ginevra e Tevatron del Fermilab a Batavia, in Illinois, ma solo con l’entrata in funzione di LHC le speranze di trovare la sfuggente particella si sono fatte più concrete.

 

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