Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat, a luglio l’inflazione sale all’1,9%, in aumento rispetto all’1,3% del mese precedente, evidenziando una crescita dei prezzi sostenuta dai beni energetici. Su tali andamenti pesa il confronto con i prezzi in discesa nell’estate del 2020 a seguito della pandemia, mentre negli Stati Uniti, i dati pubblicati la scorsa settimana indicano i prezzi al consumo in aumento del 5,4%: un tasso di inflazione così alto non si registrava dall’estate del 2008.
L’analisi delle ultime tendenze dell’inflazione è presentata in un articolo a firma di Enrico Quintavalle, responsabile dell’Ufficio Studi di Confartigianato, pubblicato su ilSussidiario.net.
Nell’articolo si esaminano le tendenze dell’inflazione in chiave territoriale, la persistente pressione dei prezzi delle materie prime, la salita dei prezzi dei beni importato. Le aspettative su prezzi di vendita in salita delle imprese manifatturiere toccano livelli che non si registravano dal 1995, con una pressione sui costi degli input produttivi diffusa settorialmente, con maggiori accentuazioni per le imprese di legno e mobili, metallurgia e prodotti in metallo, tessile, carta, gomma e materie plastiche, oltre che per quelle delle costruzioni. All’escalation dei prezzi si associa la rarefazione delle materie prime, fattori che potrebbero compromettere la ripresa in corso.
L’analisi delinea le complesse relazioni tra l’andamento dei prezzi, le strategie di politica monetaria della Bce e l’orientamento della politica fiscale – in vista della disattivazione dal 2023 della clausola di salvaguardia generale del patto di stabilità e crescita – da cui si delineano rischi specifici per l’Eurozona, che si amplificano per le economie, come l’Italia, con un elevato rapporto tra debito pubblico e PIL.