L’intenso flusso di energia dei lampi gamma che si osservano nel cosmo viene seguito da una fase rapida di emissione di radiazione a frequenze ed energie più basse, un andamento finora non correttamente spiegato dai modelli teorici. Una spiegazione esauriente arriva ora da una ricerca italiana
I lampi gamma sono considerati tra gli eventi più catastrofici dell’universo: è come se l’energia che il Sole emette durate tutto il suo ciclo di vita fosse rilasciata in poche frazioni di secondo. Gli astrofisici hanno imparato col tempo a conoscere questi misteriosi fenomeni, soprattutto grazie alle osservazioni in diverse bande dello spettro elettromagnetico, effettuate con il Neil Gehrels “Swift” Observatory, messo in orbita proprio a questo scopo, e, più recentemente, grazie alle rilevazioni delle onde gravitazionali.
Recentemente un gruppo di ricercatori del Gran Sasso Science Institute (GSSI), in collaborazione con colleghi dell’Istituto nazionale di astrofisica (INAF), guidato da Samuele Ronchini, al terzo anno di dottorato, sono riusciti a fornire un modello preciso, descritto in un articolo apparso su “Nature Communications”, dei processi che sono alla base del cosiddetto decadimento rapido (steep decay), una delle fasi che caratterizzano le osservazioni dei lampi gamma.
All’origine di questi fenomeni cosmici, secondo le attuali conoscenze, vi è essenzialmente un processo di conversione di energia cinetica o magnetica in energia elettromagnetica, con un picco proprio nella banda gamma dello spettro. A emettere questa radiazione sono getti di materia che vengono proiettati da un buco nero nello spazio esterno a velocità prossime alla velocità della luce.
A una prima fase di emissione gamma impulsiva, molto energetica, ne segue una seconda, a frequenze ed energie più basse, chiamata bagliore residuo (afterglow), dovuta all’interazione dei getti con il mezzo interstellare, che può durare per un tempo variabile da alcuni secondi ad alcuni mesi. Il confine tra le due fasi è caratterizzato da un rapido decadimento del flusso di energia, le cui caratteristiche sono correlate alla geometria della superficie che racchiude il getto, entro la quale le particelle di materia cedono energia sotto forma di radiazione.
Il problema finora era però che le misurazioni spettrali non erano in buon accordo con questo modello complessivo. L’intuizione di Ronchi e colleghi è stata quella di introdurre il concetto di raffreddamento adiabatico: in sostanza, il processo tramite cui le particelle perdono la loro energia iniziale (“raffreddamento”) avviene in un volume che non scambia calore con l’esterno.
“La dominanza del processo adiabatico indica che le particelle non riescono a dissipare efficacemente la propria energia, dando preziose informazioni sulle proprietà fisiche del getto relativistico, come l’evoluzione del campo magnetico nel sito di accelerazione, nonché sulla natura delle stesse particelle”, ha spiegato Gor Oganesyan, post-doc presso il GSSI e secondo autore dell’articolo. “In particolare, abbiamo capito che per riprodurre i dati osservati è necessario un blando decadimento del campo magnetico, assieme al raffreddamento adiabatico.”
Un elemento importate emerso dallo studio è che a emettere radiazione potrebbero essere i protoni, non gli elettroni, come finora ritenuto. Ma per comprendere ancora più approfonditamente i dettagli dei processi all’origine dei lampi gamma bisognerà attendere i futuri osservatori in banda X a largo campo di vista.
“Mettere in discussione modelli ben radicati nella comunità scientifica non è certo semplice e portare avanti questo lavoro è stata una responsabilità significativa”, ha concluso Ronchini. “Tuttavia, la perseveranza, la competenza e l’appoggio di tutto il gruppo di ricerca hanno permesso di arrivare fino in fondo e di ottenere i risultati sperati.”