Intervista al musicista Danilo Vignola, campione mondiale di Ukulele

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Danilo Vignola, dopo la laurea in lingue si dedica a studi sperimentali di etnomusicologia ed antropologia per lo più fra Spagna e Francia nel 2008. Un periodo in collaborazione con le università di Barcellona e della Basilicata. Collauda nuovi linguaggi basati sulla tradizione e le culture antiche attraverso l’uso di mezzi non convenzionali, come la fusione di strumenti musicali tipici appartenenti a costumi e a culture differenti e la tecnologia. Danilo Vignola, ha tenuto quasi mille concerti  ad oggi per ukulele in tutto il mondo. Fuori dagli ambienti tipici del cordofono hawaiano; dando allo strumento una nuova identità e dignità. Grazie al suo contributo, in  prestigiosi Jazz club internazionali, l’ukulele diventa uno dei principali promotori del movimento Ethno-Jazz , nei centri sociali più attivi nel fermento culturale d’avanguardia fino ai festival alternativi (impensabili per un ukulele) di musica Punk ed Heavy Metal. Fra vari riconoscimenti accademici di conservatori ed accademie di musica, l’ukulele ethno-antropologico di Danilo diventa oggetto di studio delle università di Roma, Napoli, Foggia, Bari e Palermo in collaborazione con Cambridge, Oxford e la normale di Pisa. Dedicano a lui un intero capitolo della prestigiosa pubblicazione universitaria “Mezzogiorno in Progress” scritto a più mani dai principali docenti dei vari atenei. Premiato con un concerto in Parlamento europeo nel febbraio 2020 come eccellenza del mezzogiorno.

Dagli Stati Uniti nel 2010 riceve il premio mondiale “Eleuke” come miglior tecnica per ukulele elettrico “Fingers of Fury”, nell’ottobre del 2015 riceve il premio MEI (Meeting delle etichette indipendenti) di Faenza, nella sua ventesima edizione, riconosciuto dalle più influenti case discografiche nazionali come miglior artista innovativo d’Italia grazie anche ad “Ukulele Revolver”, disco strumentale per ukulele classico ed elettrico che ad oggi vanta migliaia di copie vendute. Un disco che proietta l’ukulele in dimensioni del tutto inesplorate. Premiato in Cina, nella metropoli di Canton, come miglior performer (premio Kai) ed in Canada, città di Calgary, al festival internazionale di ukulele del Canada.  Si dedica anche all’illustrazione ottenendo un prestigioso riconoscimento dalla città di Viareggio (premio Stellina) e di Potenza (premio Viviani). Collabora come disegnatore per vari quotidiani ed ha illustrato molte copertine di dischi e di libri.

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Perché hai dato valore all’Ukulele come energia musicale? 

È stato un incontro casuale. Tredici anni fa in Spagna, per curiosità, l’ho preferito ad una chitarra per completare alcune mie ricerche, fin da subito però, mi sono reso conto di quanto la sua apparenza sia un inganno, tutt’altro che un giocattolo. Per la prima volta mi sono approcciato ad un’esperienza creativa che sembrava andare oltre il gusto artistico, al di là del senso estetico, era un qualcosa che andava direttamente a stimolare i neuroni: limitazioni apparenti proiettate verso un mondo senza confini. Ho pensato che ne valesse la pena azzerare tutto per lanciarmi nel vuoto aggrappandomi alle quattro corde di questo cordofono hawaiiano. Ci ho messo più di un decennio per imparare a giocare bene e qualcosa ancora mi manca.

Quale reminiscenza resta impressa nel tuo pregevole percorso artistico?

Migliaia di ricordi. Ripercorrere tutto quello che ho vissuto suonando in giro per il mondo in questi ultimi anni, è un’impresa. Spesso mi viene in mente qualcuno, un posto o una situazione che non riesco a collocare nel tempo o vedo sui siti di settore alcuni miei interventi o foto di Cina, America o da qualche parte in Europa come autentiche novità che non ricordavo. Devo molto a questo strumento. L’arte trova la sua massima esperienza nel viaggio, il confronto con i grandi mastri è la più prestigiosa delle accademie: è questa consapevolezza la mia reminiscenza più cara.

Cosa porta alla realizzazione di un brano? Vi è una fonte ispiratrice?

Tutto ciò che vivo, il confronto. Dagli artisti gitani che ho vissuto per settimane alle accademie classiche passando per gli ambienti alternativi e sperimentali. L’ ispirazione per me ha bisogno di contatto dove poter ricevere e dare. In questo periodo di stop forzato, ad esempio, non ho scritto niente, né fatto lavori discografici, le rare volte in cui ho registrato mie cose ho sentito una tecnica personale, magari perfezionata, affinata dall’esercizio, ma un virtuosismo sterile, appartenente ad una vita fa. Adesso che riparto…

Vorrei che raccontassi un tuo brano, non nel modo tecnico dell’esecuzione ma nel percorso emozionale che crea valore tra te e il tuo pubblico.

Ogni mia cosa che suono con l’ukulele è stata composta su un palco. Non ho mai fatto scrittura, composizione, sala prove ed infine concerti sono partito direttamente dall’ultima con un altro godibilissimo compagno di molti dei miei viaggi Giò Didonna. Solo adesso ho scritto quasi tutto su pentagramma per le antologie di ukulele che maestri e appassionati pubblicano in varie parti del mondo. Come mettere una melodia sul tempo, in battere o levare, qual è l’armonia giusta… è una pratica che ti insegna la gente con le sue reazioni, che ti svelano a malincuore i grandi maestri davanti un bicchiere di vino, poi vengono i libri per capire cos’è (quando ti va bene). Se non fosse stato per i viaggi e gli infiniti errori non avrei mai immaginato di poter scrivere cose così che, forse, neppure musica si chiama.

Se la composizione musicale fosse un disegno cosa realizzeresti? Il disegno come lo collochi nel tuo cammino professionale?  

Indubbiamente un Picasso, il genio che ci ha messo una vita per imparare a dipingere come un bambino. Il disegno l’ho perfezionato nei tantissimi tour, ho riempito decine di taccuini durante le ore morte fra un concerto e l’altro, così per ottimizzare i tempi. Spesso ho imparato molta più musica guardando dipinti che ascoltando dischi.

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