La corsa a ostacoli per vaccinare i paesi poveri…

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Finora è stato coperto solo il quattro per cento dei due miliardi di dosi di vaccino promesse entro il 2021 dalla collaborazione internazionale COVAX. E se al G7 le nazioni ricche hanno rinnovato il loro impegno a incrementare le donazioni, i problemi restano, tra inequità, scetticismi e interessi geopolitici

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Più del 50 per cento della popolazione adulta negli Stati Uniti è stata completamente vaccinata contro COVID-19. Ma la situazione è molto diversa in gran parte del resto del mondo. In molte nazioni a basso reddito, meno dell’1 per cento della popolazione ha ricevuto una singola dose.

Affrontare questa iniquità è la missione di COVAX, una collaborazione tra Gavi, the Vaccine Alliance [precedentemente Global Alliance for Vaccines and Immunisation, NdR], la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations e l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS). COVAX è stato lanciato nell’aprile 2020 con l’obiettivo di distribuire due miliardi di dosi di vaccino entro fine 2021. L’idea era accettare donazioni di denaro e di vaccini dai paesi e di assegnarli equamente alle nazioni più povere in base alla loro popolazione.

Ma finora COVAX non ha raggiunto i suoi obiettivi. La collaborazione ha fornito solo il 4 per cento degli oltre due miliardi di dosi somministrate in tutto il mondo fino a oggi, in gran parte perché i paesi ricchi hanno acquistato la maggior parte dei nuovi vaccini prima ancora che fossero approvati dagli enti regolatori per l’uso di emergenza.

Un’altra grande battuta d’arresto è arrivata all’inizio di quest’anno, quando l’India ha sospeso l’esportazione dei vaccini prodotti nel paese, che sta soffrendo un’epidemia devastante. COVAX aveva fatto affidamento sul Serum Institute of India per fornire più della metà delle sue dosi, e la carenza risultante ha lasciato l’organizzazione incapace di soddisfare i suoi impegni fissati con molti paesi. In una dichiarazione a “Scientific American” [di cui la rivista “Le Scienze” è l’edizione italiana, n.d.r], un portavoce di Gavi ha affermato che l’organizzazione prevede ora di consegnare 1,8 miliardi di vaccini entro la fine del primo trimestre del 2022.

Una sfida inedita
La situazione potrebbe presto cambiare. Il 3 giugno il presidente Joe Biden ha annunciato che gli Stati Uniti condivideranno 19 milioni di dosi con COVAX entro la fine del mese e ne forniranno direttamente altri sei milioni ai paesi che ne hanno bisogno. Al recente summit del G7 in Regno Unito, le nazioni ricche hanno promesso un totale di 870 milioni di vaccini a COVAX, e la metà di essi dovrebbe arrivare entro la fine dell’anno.

Anche se COVAX raggiungesse perfettamente il suo obiettivo, vaccinerebbe solo il 20 per cento delle popolazioni dei paesi partecipanti. Questa cifra è molto inferiore alla proporzione che gli epidemiologi prevedono sia necessaria per raggiungere l’immunità di gregge, la soglia oltre la quale è improbabile che il nuovo coronavirus si diffonda all’interno di una popolazione. Gli esperti dicono che saranno necessari altri sforzi, specialmente quando si tratterà di somministrare i vaccini in regioni remote, di affrontare la titubanza nei confronti del vaccino e di espandere il numero di strutture che possono produrre vaccini. “Definirei COVAX necessario ma non sufficiente”, dichiara Krishna Udayakumar, direttore del Duke Global Health Innovation Center. Finché i paesi ricchi e le aziende non intensificano gli sforzi per condividere i vaccini e aiutare a distribuirli in tutto il mondo, la collaborazione ha le mani legate, dice. “Purtroppo, come al solito, i paesi a basso reddito continuano a essere in fondo alla fila o alla mercé dei paesi ad alto reddito”, aggiunge Udayakumar.

Una delle complicazioni è stata la velocità con cui COVAX ha iniziato ad acquistare le dosi, dice Alain Alsalhani, vaccinologo dell’Access Campaign di Medici senza frontiere. Anche se Gavi consegna abitualmente altri vaccini a molti paesi a basso reddito, l’organizzazione ha dovuto stringere nuovi accordi con altre nazioni e capire di quanti vaccini COVID avessero bisogno prima di potersi avvicinare alle case farmaceutiche. Quando è entrata in gioco, i paesi ricchi avevano già comprato la maggior parte delle dosi ancora da produrre. “Non puoi pretendere di essere un meccanismo di approvvigionamento globale se rappresenti il quattro per cento delle forniture nel mondo”, sottolinea Alsalhani.

Gavi dice che il ritardo è stato una questione di fondi. “COVAX ha iniziato a fare accordi con i produttori non appena il denaro ha iniziato ad arrivare dai partecipanti e dai donatori. Se il denaro fosse stato disponibile prima, le dosi avrebbero potuto essere bloccate prima”, ha spiegato un portavoce di Gavi in una dichiarazione a “Scientific American”, aggiungendo che è impossibile confrontare il lancio del vaccino per COVID-19 con le vaccinazioni di routine che l’associazione normalmente fornisce. “La sfida di garantire l’accesso ai vaccini durante una pandemia è diversa da qualsiasi altro periodo, perché il vaccino è necessario ovunque più o meno allo stesso momento. Tutti i paesi sono colpiti, e quindi le questioni di produzione e di approvvigionamento generale sono molto più complesse”.

Strategie rischiose
Oltre ad aspettare COVAX, molti paesi a basso e medio reddito hanno stretto i propri accordi direttamente con le aziende e altre nazioni. Può essere una strategia rischiosa: alcuni critici hanno accusato paesi come la Cina di impegnarsi nella “diplomazia dei vaccini” donando i suoi vaccini Sinovac e Sinopharm, per esempio, in cambio di influenza politica in una regione, dice Udayakumar. Ma i paesi poveri che non possono comprare i propri vaccini potrebbero avere poca scelta se non quella di accettare queste donazioni.

Un’ulteriore preoccupazione è che tali accordi potrebbero portare le nazioni più povere a ricevere principalmente vaccini meno efficaci, dice Udayakumar. Mentre nessuno ha ancora confrontato direttamente i vaccini cinesi con quelli sviluppati negli Stati Uniti e in Europa, gli esperti stimano che offrono meno protezione dei vaccini mRNA come quelli prodotti da Pfizer e Moderna, meno disponibili nei paesi in via di sviluppo. “Se non stiamo attenti, questa è purtroppo la direzione in cui ci stiamo dirigendo”, dice.

Alsalhani aggiunge che le preoccupazioni per le trombosi associate a certi vaccini hanno abbassato la domanda in tutto il mondo. In molti paesi a basso reddito, la gente preferirebbe i vaccini Pfizer e Moderna a mRNA che i paesi ricchi stanno ricevendo. “Anche se gli Stati Uniti e l’Europa iniziano a condividere i vaccini AstraZeneca e Johnson&Johnson, non sono sicuro che questo sarà molto utile”, dice.

La differenza tra i tipi di vaccino è diventata un punto critico nella Repubblica democratica del Congo (RDC), il cui governo si è riservato 1,7 milioni di dosi di vaccino di AstraZeneca mentre l’azienda indagava sulle segnalazioni di trombosi. Quando i regolatori europei hanno autorizzato il vaccino, che era stato acquistato tramite COVAX, le dosi della RDC stavano per scadere, e COVAX ne ha ridistribuito il 75 per cento ad altri paesi africani. Ora le preoccupazioni persistenti sugli effetti collaterali del vaccino AstraZeneca, insieme alle voci diffuse e allo scetticismo sull’esistenza del COVID stesso, hanno portato a una bassa domanda di vaccini tra i cittadini congolesi, dice Freddy Nkosi, responsabile per la RDC dell’organizzazione no profit VillageReach. Al 14 giugno, meno dell’1 per cento della popolazione della nazione ha ricevuto una dose.

Tra logistica, politica interna e mancanza di knowhow
Anche se i paesi in via di sviluppo potessero avere accesso ai vaccini a mRNA altamente efficaci, un altro problema è mantenerli freddi durante il trasporto nelle regioni remote della Repubblica democratica del Congo – l’undicesimo paese più grande del mondo per superficie – e la mancanza di infrastrutture sanitarie e di personale per somministrare le dosi. “Anche se c’è stato un enorme investimento per portare i vaccini nel paese, non c’è stato un grande investimento in termini di distribuzione alle comunità”, spiega Nkosi. “C’è stato pochissimo investimento per aumentare la consapevolezza della comunità sul nuovo vaccino”. Egli spera che il crescente numero di persone, comprese le celebrità africane, che hanno ricevuto il vaccino COVID aiuterà a generare fiducia tra il pubblico.

Dall’altra parte del mondo, i problemi di consegna hanno anche afflitto il Perù, che ha avuto il più alto tasso di mortalità COVID pro capite rispetto a qualsiasi altro paese del mondo. Gli sconvolgimenti politici hanno ulteriormente rallentato il lancio del vaccino nel paese, che il 6 giugno ha tenuto un ballottaggio molto contestato per il suo quinto presidente in cinque anni. Oltre alla sfida di consegnare i vaccini alle persone negli altipiani e nelle giungle rurali del Perù, le turbolenze nella leadership hanno fatto sì che meno del sei per cento del paese fosse completamente vaccinato, dice Ricardo Díaz Romero, responsabile della salute comunitaria per l’organizzazione no profit CARE Perù.

Uno scandalo politico ha fatto naufragare ulteriormente gli sforzi di vaccinazione: i politici peruviani hanno saltato la fila per ricevere i vaccini Sinopharm destinati a una sperimentazione clinica. Quando la storia è venuta alla luce, si sono diffuse voci che gli enti regolatori avessero approvato quel vaccino per ragioni politiche e non per l’efficacia. “La gente ha perso fiducia”, dice Valerie Paz-Soldán, sociologa dell’Università di Tulane con sede a Lima, in Perù. Il paese è stato anche lento a comprare e importare vaccini, compresi 38 milioni di vaccini Sinopharm dalla Cina che si è assicurato a gennaio. Ora il Perù ha firmato ulteriori accordi con AstraZeneca, Pfizer e COVAX, ma Paz-Soldán sostiene che le spedizioni effettive arrivano al ritmo di poche centinaia di migliaia alla volta.

In definitiva, vaccinare il mondo richiederà più aiuto dai paesi ricchi e dalle aziende. A maggio l’amministrazione Biden ha annunciato di sostenere la rinuncia ai brevetti sui vaccini per COVID-19. Ma vaccinare il mondo non richiederà solo vaccini ma anche know-how, spiega Richard Marlink, direttore del Rutgers Global Health Institute. Espandere il numero di strutture che possono produrre vaccini e formare i lavoratori, per esempio, potrebbe aiutare a risolvere i colli di bottiglia e rendere più facile per regioni come l’Africa e il Sudest asiatico acquisire rapidamente i vaccini. E l’aumento dei finanziamenti per l’OMS e altre agenzie potrebbe aiutare a costruire l’infrastruttura necessaria non solo per sviluppare i vaccini ma anche per distribuirli a livello globale. “Spero che la pandemia ci insegnerà che investire nella salute pubblica è importante quanto investire nella salute individuale”, conclude Marlink.

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