Ancora un riconoscimento da parte di Legambiente all’Università di Catania per il suo impegno sui temi della sostenibilità ambientale. Venerdì scorso, al Palazzo Biscari, in occasione della tappa etnea di Clean Cities, la nuova campagna di Legambiente che intende accendere i riflettori sul ruolo che le città italiane possono giocare per una ripartenza più ecologica e sostenibile, l’ateneo catanese è stato premiato per lo studio dal titolo “A novel methodology for epidemic risk assessment of COVID-19 outbreak” che spiega la forte correlazione fra il maggiore impatto del Covid-19, in termini di decessi e terapie intensive, e l’inquinamento ambientale, la mobilità, la densità abitativa, la densità ospedaliera, la temperatura invernale e l’anzianità della popolazione.
A ricevere il premio per l’Università di Catania è stato il prof. Giuseppe Inturri in rappresentanza del team interdisciplinare di docenti e dottorandi – composto anche da Alessandro Pluchino, Alessio Biondo, Nadia Giuffrida, Vito Latora, Rosario Le Moli, Andrea Rapisarda, Giovanni Russo e Chiara Zappalà – dei dipartimenti di Fisica e Astronomia, Medicina clinica sperimentale, Matematica e informatica, Ingegneria civile e architettura, Ingegneria elettrica ed Economia e impresa dell’ateneo.
Lo studio, pubblicato nel marzo scorso, sulla prestigiosa rivista internazionale Nature Scientific Reports, attraverso una nuova metodologia, è riuscito a stimare il rischio apriori dell’impatto della pandemia da Covid-19 nelle varie regioni italiane tenendo in considerazione diversi co-fattori che permettono di capire il perché della differente incidenza della pandemia sul territorio italiano. Al tempo stesso lo studio classifica le regioni italiane in quattro diversi gruppi di rischio (sulla base dei dati ufficiali dei decessi e delle terapie intensive) giustificando pure le diverse misure di contenimento.
«Nell’articolo si propone anche un modello che potrebbe aiutare il decisore politico a prendere dei provvedimenti più accurati per contenere la pandemia – spiegano i ricercatori -. Lo studio riesce anche a spiegare la diversa mortalità dell’influenza stagionale nelle regioni italiane e la correlazione fra l’impatto pandemico del coronavirus e l’inquinamento atmosferico».
«Alla luce dello studio si impongono delle scelte obbligate per cercare di contenere l’impatto di questa pandemia e altre simili che potrebbero arrivare in futuro – concludono i ricercatori -. È necessario ridurre drasticamente l’inquinamento atmosferico (la Pianura Padana è proprio una delle regioni più inquinate d’Europa) attraverso una progressiva transizione ecologica che preveda fra le altre cose una riduzione non solo della mobilità privata casa-lavoro, ma anche del numero degli allevamenti intensivi. Questa transizione va nella stessa direzione delle scelte urgenti da fare per frenare il cambiamento climatico, problema ben più grave di quello pandemico, ma ad esso fortemente correlato».