L’Istat, la Cgia di Mestre e la Caritas ci dicono, attraverso i loro focus, che – dati alla mano – l’economia italiana è al collasso.
Infatti, per effetto della pandemia, nel 2020 gli occupati sono calati di 440 mila unità (70 per cento donne); in un anno dal settembre 2019 a settembre 2020 i nuovi poveri sono cresciuti del 45 per cento (54 per cento donne).
Quindi dal punto di vista dell’occupazione e del reddito ad essere maggiormente colpite sono le donne. Ma ad essere penalizzate dall’emergenza sanitaria non sono solo loro, ma anche lavoratori precari e a progetto, a collaborazione e a tempo indeterminato, le false partite Iva non tutelate dalla cassa integrazione, le partite Iva effettive, i piccoli artigiani e commercianti e i lavoratori stagionali e occasionali dei settori più colpiti dalle chiusure e dalle restrizioni.
I settori economici più colpiti in termini di riduzione del fatturato nell’ordine sono: le agenzie di viaggio e i tour operator (meno 73,2 per cento); le attività artistiche palestre, piscine, sale da gioco, cinema e teatro (meno 70 per cento); alberghi e alloggi (meno 53 per cento); noleggio e leasing operativo (meno 30, 3 per cento); bar e ristoranti (meno 24,07 per cento); commercio, riparazione di veicoli e motocicli (meno 19,9 per cento).
In termini assoluti perde di più il commercio all’ingrosso con 44,3 miliardi di euro. A soffrire maggiormente, oltre al comparto dei servizi, ci sono il tessile abbigliamento, la stampa, i mobilifici e l’edilizia.
Ma chi rischia di pagare un prezzo salatissimo sono le microimprese, che nel Sud unite alle piccole aziende rappresentano il 97 per cento del tessuto imprenditoriale, danno lavoro a quasi 2 milioni di addetti e producono un valore aggiunto di 63 miliardi di euro, che, a giudizio dell’Istat, possono scomparire dal mercato.
Di fronte alla drammaticità della situazione, sommariamente descritta, è necessario approvare al più presto il Piano nazionale di ripresa e resilienza, in uno con le riforme che dovranno accompagnare gli investimenti, a partire della riforma della pubblica amministrazione con il taglio dei lacci burocratici e della riforma della giustizia.
Per produrre, però i desiderati effetti sulla crescita e l’occupazione è indispensabile abbandonare la frammentarietà dei progetti, la logica di mettere ognuno (partiti e istituzioni locali) la propria bandierina e concentrarsi su opere e iniziative in grado di correggere sia le disparità territoriali, sia la differenza tra i cittadini.
Differenza che il Covid può accrescere dall’istruzione alla salute a secondo del luogo in cui i cittadini vivono: se al Nord o al Sud, nelle città o nei paesini delle aree interne. C’è da augurarsi che nell’immediato in cima all’agenda del nuovo governo, oltre ad esserci la proroga dello stop ai licenziamenti, il sostegno pieno alle attività economiche chiuse o comunque danneggiate dai decreti emergenziali e il nodo dello smaltimento delle cartelle esattoriali e degli avvisi, ci siano nel contempo lo sblocco dei cantieri e la continuità dei sussidi per sostenere i più deboli.
Anche perché, comunque la si pensi in materia di sussidi, se la recessione, pur durissima, in Italia è stata inferiore a quella di altri Paesi europei vuol dire che i sussidi sono serviti. La sfida che sta davanti al professore Draghi e al nuovo governo non sarà certamente facile, non solo perché dovrà affrontare due priorità assolute: la pandemia e il Recovery Plan, ma anche perché dovrà far convivere all’interno dello stesso esecutivo “il diavolo e l’acqua santa“, vale a dire soggetti politici che hanno idee e visioni diverse su tante questioni.
Basti pensare, per fare solo qualche esempio – al nodo della tassazione fiscale, la Lega e in parte Forza Italia hanno posizioni del tutto incompatibili con quelle della sinistra e della stessa Unione europea. E alla governance del Recovery Plan, la questione che ha contribuito a innescare la crisi politica sulla quale non si è scritto ancora la parola fine.
Infine per quando riguarda le due priorità che dovrà affrontare il governo, al solo intendo di interpretare il malessere sociale che si agita nei territori dove viviamo ed operiamo e per rispondere alle sollecitazioni che ci giungano dal sistema delle imprese, che non si rassegnano e vogliono scommettere sulla ripartenza, avanziamo due sole proposte.
La prima: approvare una campagna di vaccinazione degna di questo nome perché altrimenti la strada della ripresa sarà ancora più dura e infinitamente più lunga.
La seconda: lavorare subito per utilizzare i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza e i 21 miliardi aggiuntivi del Fondo sviluppo e coesione.
Risorse che secondo noi debbono essere spese soprattutto al Sud, perché è la sede naturale del riequilibrio della politica di coesione decisa da Bruxelles. Ciò perché investendo il 50 per cento dei soldi del Nexit Generation relativi agli investimenti il Mezzogiorno guadagnerebbe in termini di PIL – secondo la Svimez – dall’8,1 per cento all’11,6 per cento (impatto incrementale cumulato 2021-2026) senza danneggiare minimamente la crescita prevista al Nord. Solo attraverso questa strada sarà possibile bloccare la fuga dei giovani e dare una prospettiva alle donne.
Salvatore Bonura