Personalmente non ho mai nutrito simpatia per il senatore Renzi, non solo perché – sin dall’inizio del suo esordio in politica – si è mosso come un elefante in un negozio di cristalleria, ma anche perché il suo essere di sinistra mi appariva molto lontano dal mio essere di sinistra.
Questo mio personalissimo sentimento non è mai mutato, neppure quando – dopo la crisi del governo gialloverde innestata da Salvini – ha favorito l’alleanza tra il PD e i 5Stelle, consentendo di fatto al presidente Conte di continuare a guidare il governo con un’altra maggioranza.
Non perché l’intento di evitare le elezioni politiche anticipate – e la più che probabile vittoria del centrodestra – non fosse valido, bensì perché quella scelta era evidentemente dettata da convenienza e tatticismo esasperato, quindi del tutto priva di respiro strategico rispetto al futuro.
Grazie a quella scelta l’Italia ha avuto un governo che ha saputo affrontare la prima ondata della pandemia meglio di tanti altri Paesi, cercando di dare risposte a quanti (lavoratori, imprese, famiglie) sono stati colpiti dagli effetti del Covid-19. Anche se talune di queste risposte sono apparse non all’altezza dei problemi, e i benefici sono arrivati ai destinatari con ritardo; spesso non per responsabilità dirette dal governo, bensì per la farraginosità di alcune norme burocratiche italiane.
Ritengo però che le questioni poste dal senatore di Rignano non siano il frutto di un uomo politico che ha perso il lume della ragione.
Infatti chiedere di modificare la prima bozza del Recovery Plan, di nominare i commissari per sbloccare e aprire i cantieri delle grandi opere, di attingere alle risorse del MES per affrontare i tanti problemi che affliggono la sanità italiana (in particolare quella del Sud), di accelerare sui tanti dossier aperti, di invocare un cambio di passo del governo, di stringere un patto politico di fine legislatura; chiedere insomma tutte queste cose, non mi è sembrato irragionevole.
Anche perché questi stesse richieste erano state avanzate, con la pacatezza e l’equilibrio che lo caratterizzano, all’indomani delle elezioni regionali, dal segretario del PD, Nicola Zingaretti. Irragionevoli sono state la personalizzazione fatta da Renzi, i tanti ultimatum e il tempo scelto per aprire la crisi – cioè nel bel mezzo di una pandemia mondiale che ha già creato così tanta insicurezza. Ciò detto penso sia un errore il tentativo di rendere ininfluente il ruolo di Italia Viva nel tentativo di dare continuità all’attuale governo o nella formazione di un nuovo esecutivo attraverso il ricorso ai responsabili-costruttori che dir si voglia.
Ricorrere alle frattaglie delle altre forze politiche, a senatori e deputati che cambiano casacca non per ragioni nobili né perché “folgorati sulla via di Damasco“, ma per evitare di tornare a casa con due anni di anticipo, rispetto alla regolare conclusione della legislatura, non mi sembra una grande idea.
Il Partito democratico avrebbe fatto meglio, a mio giudizio, ad avere un atteggiamento meno liquidatorio nei confronti di Renzi, impegnandosi maggiormente a ricucire, a ricondurre gli attori di questa vicenda assurda e surreale, mascherata e divulgata maldestramente da ambo le parti come una sfida estrema in nome del Paese, alle proprie responsabilità.
Il PD, invece, nonostante abbia dimostrato di avere più sale in zucca di tante altre forze politiche, non ha esercitato sino in fondo il ruolo di partito credibile e centrale. Con il più che probabile risultato di dare vita o a un governo privo di una maggioranza assoluta – e quindi soggetto ad essere strattonato dall’una e dall’altra parte politica, o di incoronare Conte come monarca assoluto – riducendo così il proprio spazio politico.
Non so se ci siano ancora i margini politici per ricucire questo strappo assurdo e incomprensibile a gran parte dell’opinione pubblica, e se ci sono sarebbe saggio esplorare queste eventuali possibilità sino in fondo.
Tutti i partiti della disciolta maggioranza, con in testa il PD, dovrebbero impegnarsi allo spasimo per dare al Paese un governo solido ed autorevole. Ciò, non solo perché abbiamo un debito pubblico salito a 153 miliardi di euro, una caduta del Pil del 10 per cento nel 2020 e tutti gli indicatori economici disegnano uno scenario da brividi, ma anche perché alla soluzione della crisi e alla formazione di un governo è legato il destino del “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, che è la vera scommessa politica ed economica dell’Italia.
Difatti il nostro paese, con i 209 miliardi di sovvenzioni e prestiti europei, ha l’occasione per avviare un nuovo corso di crescita e assicurare un futuro meno tribolato agli italiani, in particolare a chi vive al sud, a chi non ha un lavoro, al sistema delle imprese e a tutti gli operatori economici che sono stati messi in ginocchio dalla pandemia.
Salvatore Bonura