Il furto delle reliquie di Sant’Agata: storia o tradizione? L’intervista all’esperta Marina Cafà

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CATANIA – Con attesa e puntualità, ogni anno il 17 agosto Catania celebra la sua santa patrona, martire nell’anno 251 (epoca delle persecuzioni contro i cristiani decretate dall’imperatore Decio), ricordandone il ritorno in patria delle reliquie da Costantinopoli nel 1126.

Un’antica tradizione sostiene che il generale bizantino Giorgio Maniace nel 1040, al termine di una spedizione volta ariconquistare (senza successo!) i territori siciliani ormai in mano agli arabi, avrebbe portato con sé a Costantinopoli il corpus della santa, assieme ad altre reliquie sacre. La capitale dell’impero bizantino per ottantasei anni avrebbe custodito, secondo questa tradizione, le reliquie della martire catanese, fino a quando Gisliberto, soldato di origine gallica in servizio presso il palazzo imperiale di Costantinopoli, avrebbe ricevuto in sogno la richiesta da parte della stessa martire di far ritorno nella propria città natale. Per esaudire questa volontà Gisliberto, coadiuvato dal fedele compagno Goselmo (calabrese), “con lodevole stratagemma” una notte avrebbe sottratto il corpo della santa dalla chiesa in cui si trovava e, dopo averne suddiviso le membra e ripostole all’interno di contenitori per frecce in modo da non destare sospetto, intraprese l’avventuroso viaggio per mare e per terra, conclusosi con la consegna delle spoglie della martire al vescovo della città Maurizio e a tutta la comunità catanese.

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Gli eventi di questa doppia traslazione delle reliquie di Sant’Agata sono narrati nell’Epistola redatta dal quarto vescovo di Catania Maurizio, in occasione del ritorno in patria delle reliquie della santa nel 1126.

Si tratta di storia o di tradizione?

Lo abbiamo chiesto a Marina Cafà, cultrice delle tradizioni ed esperta della storia di Sant’Agata: “La ricerca compiuta nel corso della mia tesi di laurea in Filologia Classica nel 2004 – relatore Prof. Carmelo Crimi, docente di Letteratura greca tardoantica e bizantina presso l’Università di Catania – ha riguardato le “presunte” traslazioni del corpus della santa, da Catania a Costantinopoli nel 1040, e da Costantinopoli a Catania nel 1126, con l’obiettivo di far luce su tali avvenimenti e di ricostruire ed esaminare il panorama storico, sociale, culturale e religioso in cui essi avrebbero avuto luogo. I risultati emersi hanno permesso di ascrivere tali eventi all’ambito della tradizione più che alla storia trasmessaci a partire dall’epoca normanna”.


Perché le reliquie dei santi venivano rubate
o traslate?

“Al fine di comprendere la realtà dell’epoca, occorre inquadrare gli episodi delle “presunte” traslazioni di Agata, nell’ampio e complesso fenomeno che vide le reliquie dei santi oggetto di numerosi furta e translationes, in particolare tra i secoli IX ed XI. Frequentissime, infatti, furono le traslazioni e i furti di corpora sanctorum, poiché nell’immaginario collettivo dell’epoca, sia in oriente che in occidente, le reliquie erano percepite come entità animate di una potenza soprannaturale ed il punto di contatto tra l’esistenza terrena ed il divino. Da qui l’ansia di possederle…. Proprio tra il IX e l’XI sec, quando in Europa vi fu un’evoluzione delle strutture culturali, politiche ed economiche, la chiesa cercò sostegno e protezione in questi “difensori sovrannaturali” che, oltre ad essere un riferimento di devozione religiosa, fornirono senso d’identità, protezione politica e sostegno economico. Ecco perchè furti di reliquie furono compiuti per beneficio dei monasteri, e spesso “su commissione” di prelati o di alte cariche ecclesiastiche, e l’Italia fu considerata per tutto l’alto Medioevoun paese benedetto da Dio, dove ci si poteva procurare sante reliquie con l’aiuto di chierici poco scrupolosi o di abili falsari. Il possesso del corpo di un santo, o di una sua parte, costituiva per la città, il villaggio, la basilica, un presidio insostituibile contro le malattie, le calamità, i disastri di ogni genere, i disordini, l’eresia, e fosse un elemento insostituibile per la promozione e la fama di un luogo di culto. Da questa prospettiva, risulta più facile comprendere le diverse funzioni che le reliquie dei santi assunsero in quei secoli particolari: politiche perché al cospetto di questi resti sacri si giurava di mantenere la pace; sociali perchè le reliquie rappresentavano la sola difesa contro molteplici mali fisici, materiali e pschici di un popolo inerme di fronte ad un universo incomprensibile e terrificante; economiche perché, gli introiti provenienti dal culto dei santi rappresentavano una fonte vitale di entrate”. 

Oltre alle reliquie di Sant’Agata si attestano furti o traslazioni di altri santi celebri?

“Degne di nota sono le traslazioni di san Marco da Alessandria a Venezia, e di san Nicola da Myra (in Asia Minore) a Bari. Il corpo di san Marco non fu certo per caso né per coincidenza che fu portato a Venezia da Alessandria d’Egitto nell’827: fu una mossa calcolata da parte dei veneziani, contro la supremazia episcopale della città di Aquileia. Nel 1087, invece, la traslazione di san Nicola da Myra a Bari costituì una risposta alla decadenza economica della città pugliese causata dalla rivalità commerciale con Venezia. Bari tentò di acquisire fama e prestigio con un diverso tipo di “investimento”: il pellegrinaggio. In effetti, che il santo dovesse “servire” ad attirare pellegrini, fu evidente sin dall’architettura della basilica che avrebbe accolto le sue reliquie: progettata per accogliere folle di visitatori“.

Che caratteristiche possiede l’EPISTOLA DI MAURIZIO?

“L’originale testo manoscritto dellEpistola scritta dal quarto vescovo di Catania Maurizio, in cui è narrata l’Historia translationis di Agata, non è rintracciabile a causa del sisma che colpì Catania nel 1693. L’unica possibilità di poter accostarci a tale documento è costituita dalla presenza di due copie manoscritte, superstiti al terremoto, ed esaminate nel corso della tesi: il Liber Prioratus, della seconda metà del XV secolo, ed il Codice degli Uffici, dei primordi del XVI secolo. L’Epistola presenta caratteri comuni agli altri racconti di traslazioni, confezionati generalmente dalle autorità religiose, in cui si precisava che era stato proprio il santo, attraverso apparizioni o sogni, a manifestare la volontà di essere trafugato e portato da un’altra parte; l’avventuroso viaggio di ritorno che, sotto la protezione divina, giunge a buon termine, accanto all’accoglienza gioiosa riservata alle reliquie dalla nuova comunità, costituiscono i topoi fondamentali di questi racconti che divennero un vero e proprio genere letterario (poteva anche capitare che si costruisse in toto il racconto di una traslazione che in realtà non avvenne mai, e questo per le ragioni politiche, economiche o religiose dapprima citate).
Nell’Epistola di Maurizio del 1126 è minuziosamente descritta tutta la storia del trafugamento delle reliquie di Sant’Agata avvenuto nel 1040 fino al ritorno in patria nel 1126. È molto interessante seguire il racconto dell’Epistola attraverso i pannelli in legno del coro ligneo della Cattedrale, pregevolissima opera dello scultore napoletano Scipione di Guido del 1598. Gli intagli narrano le storie di Agata in vita a sinistra, e le vicende riguardanti le sue reliquie a destra: il furto di Maniace, il sogno di Gisliberto, il trafugamento dalla chiesa di Costantinopoli, la suddivisione del corpo per essere meglio nascosto all’interno di contenitori per frecce, le tappe del viaggio che da Costantinopoli toccò Smirne, Corinto, Taranto (nella spiaggia di Gallipoli avvenne il miracolo della reliquia della mammella da cui una bimba succhiò latte), Messina, fino ad Acicastello (il vescovo, infatti, d’estate risiedeva nell’imponente Castello che ancor oggi ammiriamo) e Catania.L’Epistola si conclude con l’invito che il vescovo rivolge a tutti i catanesi ad accogliere “a piedi nudi e in bianche vesti” la celebre martire finalmente tornata in città. Era il 17 agosto del 1126.

 

L’Epistola di Maurizio è attendibile da un punto di vista prettamente storico?

Per verificare l’attendibilità storica degli eventi descritti nell’Epistola di Maurizio sono stati analizzati numerosi documenti (testi encomiastici, cronache benedettine anglosassoni,fonti bizantine che hanno riferito della spedizione in Sicilia contro gli Arabi tra il 1038 ed il 1040, documenti ufficialiemanati a Catania), da cui emerge che nessuno prima del vescovoMaurizio ha mai sostenuto che il corpo di Agata fosse stato sottratto da Catania. Potrebbe essere verosimile che Maniace avesse portato con sé a Costantinopoli alcune reliquie, come era consuetudine per l’epoca, ma il silenzio delle fonti storiografiche bizantine, quello dei documenti ufficiali emanati a Catania nel periodo in cui, presumibilmente, le reliquie si trovavano a Costantinopoli (cioè tra il 1040 ed il 1126) non menzionano né la translatio di Agata a Costantinopoli, né Maniace come autore della stessa; inoltre, la mancanza di ulteriori elementi dasottoporre ad analisi, conducono alla conclusione che non è possibile verificare se davvero la translatio di Agata fu compiuta da Maniace, o da qualcun altro personaggio, o se addirittura tale avvenimento non si verificò. Bisogna ricordare che varie fonti, del resto, testimoniano la diffusione del culto di Agata al di fuori dei confini di Sicilia ed in particolare nell’Oriente bizantino, come quella del patriarca Metodio di Siracusa che nella metà del IX sec., in un encomio pronunciato in onore della santa, dichiarò di essere stato diverse volte testimone del miracoloso prodigio del gorgoglio dell’olio delle lampade che soleva verificarsi annualmente in occasione del suo dies natalis, il 5 febbraio, in una delle due chiese dedicate a S. Agata nella Capitale, ma non parla affatto di reliquie”.

 

Ci troviamo in un contesto abbastanza complesso: potrebbero esserci ragioni di natura politica, religiosa o economica intorno alle traslazioni della martire catanese?

 

“Al di là dell’attendibilità dell’Epistola di Maurizio e della veridicità storica della “presunta” translatio di Agata a Costantinopoli e del suo “presunto” ritorno a Catania, bisogna sempre considerare una translatio compiuta con l’obiettivo di conferire identità ad una chiesa, ad un monastero, ad una città. L’XI sec. è stato interpretato come un’età di recupero della memoria e dell’identità cittadina attraverso la scoperta di antichi e nuovi culti patronali. Lo dimostrano la costruzione di nuove cattedrali, l’istituzione di nuove diocesi, e la redazione delle agiografie dei nuovi patroni, che esprimono il bisogno di darsi una nuova identità.

Nello specifico caso di Catania, sembra fondamentale riflettere sui moventi e sulle esigenze che agli inizi del XII secolo indussero i rappresentanti della comunità ecclesiastica catanese a rifondare il culto cittadino verso la santa. La conquista di Catania da parte dei Normanni nel 1071 fu, infatti, caratterizzata da un processo di riorganizzazione ecclesiastica che aveva lo scopo di favorire il ritorno della popolazione al culto cristiano che, durante la dominazione araba, non fu naturalmente incoraggiato. INormanni si impegnarono a realizzare un’unità religiosa e culturale che avrebbe avuto benefici a livello politico: si trattava di un progetto particolarmente ambizioso poiché all’epocaCatania era costituita da un mosaico di popolazioni, lingue e culture a cui i “nuovi dominatori” intendevano offrire un modello religioso che potesse accogliere comuni consensi. Se consideriamo l’importanza che nel medioevo ebbero le reliquie dei santi, sembra plausibile pensare che il ripristino del culto di Agata nel 1126 fu funzionale al progetto normanno di realizzare un’unità di fede, di cultura e di riti, rinnovando l’identità religiosa e sociale della città sotto un simbolo cristiano. Da allora, la Cattedrale normanna prima dedicata a S. Giorgio, fu dedicata a Sant’Agata, ed è qui che fino ad oggi le sue sacre spoglie sono custodite. L’Epistola di Maurizio, dunque, sarebbe portavoce delle scelte di potere del nascente vescovato normanno”

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