Da qualche giorno – per la precisione dall’indomani della decisione dell’Europa di assegnare al nostro Paese 209 miliardi di euro dei 750 stanziati per fronteggiare la crisi economica causata dal coronavirus – sento pronunciare , a ogni piè sospinto, la parola Sud. A pronunciarla con una certa frequenza sono, oltre al capo del Governo, ministri, sottosegretari, parlamentari, segretari di partito e di movimenti, rappresentanti sindacali e del mondo dell’impresa.
Il Presidente Conte ha sostenuto che occorre colmare il divario tra il Nord e il Sud del Paese, il ministro alle Infrastrutture De Micheli ha dichiarato che si è deciso di destinare il 40% delle risorse europee al Sud, il suo collega alla Coesione Territoriale, Giuseppe Provenzano, con una buona dose di intelligenza ha detto che questa volta si parte dal 34%, facendo intendere che non ci sarà limite alla provvidenza. Gli unici che sono rimasti muti come i pesci sono stati gli esponenti del centrodestra, forse perché non credevano (non tutti, in verità) che l’Europa rinsavisse e decidesse di mettere nel piatto una montagna di soldi e premiasse con la ripartizione il Belpaese.
Di fronte alle tante manifestazioni di attenzione e di generosità verso il Sud – tutte certamente in buona fede –, pur non diffidando di nessuno in particolare ho pensato: “Vuoi vedere che tutti questi signori sono stati folgorati come Paolo sulla via di Damasco, quando diretto nella città siriana per perseguitare i cristiani fu accecato e udì la voce di Gesù e decise di convertirsi al cristianesimo?“.
Considerato, però, che talvolta il trucco si nasconde nei dettagli o nelle cose non dette, ho cercato di vedere meglio tutta la faccenda. Così, leggiucchiando e spigolando qua e là, ho scoperto che l’Italia ha ottenuto dall’Europa tanti soldi non per la bravura nella trattativa del Presidente Conte, né per la sua caparbietà e affabilità (doti che noi, e gran parte delle persone di buon senso di questo Paese, gli riconosciamo), ma perché la ripartizione della torta europea avviene sulla base di tre parametri, che sono la popolazione, la ricchezza e la disoccupazione. Ognuno di questi parametri vale un terzo del totale della torta, vale a dire 250 miliardi di euro.
Sugli abitanti il meccanismo è semplice: più teste, più soldi. E su questo parametro il Centro-nord con quasi 40 milioni di abitanti pesa il doppio del Sud che ha una popolazione al di sotto di 20 milioni di persone. Sulla ricchezza funziona così: più sei ricco, meno prendi. Considerato che il Pil pro-capite dell’Europa a 27 è pari a 30.200 euro, e il Centro-nord si attesta a 34.300 euro, una media superiore a quella europea, su questo parametro se il Centro-nord si fosse presentato senza il Sud avrebbe preso molto poco. Presentandosi invece con il Sud, che ha un Pil pro-capite di 19.100 euro, la media nazionale si attesta a 29.200 euro, trasformando di conseguenza il nostro Paese da ricco – e quindi costretto ad essere generoso verso gli altri paesi – in povero, per cui diventa beneficiario di particolari aiuti.
Il terzo parametro è il tasso di disoccupazione, con la media dei valori del 2015-2018. Il valore di riferimento in Europa è l’8,3 per cento, per cui anche in questo caso se il Centro-nord si fosse presentato senza il Sud, con il 7,1% di disoccupati si sarebbe dovuto accontentare di ben poco. Ma siccome al Sud la situazione da questo punto di vista è drammatica, con una disoccupazione al 18,9%, cioè un indice che fa scendere la media nazionale all’11,1%, su questo parametro l’Italia prende molti soldi. Per dirlo in una battuta: il Centro-nord da solo avrebbe ricevuto sostegni per 74 miliardi di euro versandone 75 al bilancio dell’Unione.
A prescindere dalle percentuali, però, siamo di fronte a una novità storica in Europa che può diventare tale anche in Italia. Il Sud non deve presentarsi con il piattino in mano a chiedere qualche euro in più, perché è grazie al Mezzogiorno che entreranno nelle casse dello Stato 135 miliardi in più, cioè quasi i due terzi del totale. Naturalmente non è detto, né è scritto da nessuna parte che questi 135 miliardi debbano andare tutti al Sud. Ma è ovvio se vali il 64% delle risorse, non puoi accontentarti del 34% come prevede la legge sui trasferimenti.
Quindi, sarebbe auspicabile in questa circostanza che il Governo e il Parlamento evitassero i soliti giri di valzer e di discutere di percentuali e si ponessero, invece, l’obiettivo di unificare finalmente l’Italia, investendo soprattutto al Sud che è l’area del Paese a maggiore potenzialità di crescita. Oltretutto, statisticamente, il 40% dei soldi investiti al Sud ritornano al Nord. Insomma oggi la politica ha l’occasione per riparare agli errori del passato e ai torti storici inferti al Mezzogiorno, creando, nel contempo, le condizioni per garantire pari opportunità a tutti: anche ai cittadini e alle imprese che abitano e operano nel Meridione, e che sinora hanno vissuto e operato in una condizione di svantaggio rispetto ai cittadini e alle imprese del Settentrione.
In conclusione c’è da augurarsi che il Recovery Plan contenga le riforme (burocrazia, giustizia, formazione) e i settori indicati dalla Commissione europea (Sud e digitalizzazione, più economia green) e sia presentato a Bruxelles entro il 15 ottobre in modo da poter ottenere il prefinanziamento del 10 per cento. L’Europa ci ha dato un aiuto straordinario, che equivale a quello che ci venne dato dagli Stati Uniti nel 1947 con il Piano Marshall per aiutarci ad uscire dalle rovine della Guerra. Il Paese questa volta non può perdersi in chiacchiere, non può venir meno. È quasi una questione d’onore.