E così alla fine ci è toccato pure difenderla, la vice ministra Castelli.
Perché, inconfutabilmente, al di là della sua incapacità espositiva, della poca chiarezza di pensiero, e capacità di parola, il concetto c’è.
Mutuato da un grande, peraltro.
Esempio compreso.
È di un filosofo ed economista dei giorni nostri, un risk analyst d’eccellenza, professore alla New York University, Nassim Taleb, teorico visionario dell’irrazionalità e del caso, autore di best seller d’élite.
Taleb è un personaggio quasi fiabesco, disadattato protagonista dell’epoca moderna: studia matematica, è esperto di teoria della probabilità, scrive saggi nei quali cerca di mantenere l’equilibrio instabile tra la sporca vita di ogni giorno e l’eccellenza.
Scrive il primo dei suoi libri alla vigilia di quel famoso 11 settembre: mettendo in conto che l’epoca moderna programmatrice e calcolatrice possa aver dimenticato la probabilità che l’imprevisto si affacci alla finestra.
Poco dopo l’imprevisto entrerà dalla finestra delle Twin Towers, e sovvertirà le certezze del mondo intero.
Passano gli anni, e la mente brillante e controversa di Taleb partorirà la teoria del cigno nero, metafora dell’evento raro, isolato, non ripetibile, imprevedibile e decisamente non aspettato. E’ il 2007, e tra le righe scrive testualmente: “L’ecosistema bancario si sta gonfiando di banche gigantesche, incestuose, burocratiche: se ne fallisce una, cascano tutte”.
Un anno dopo fallisce Lehman Brothers.
C’è un percorso nei suoi libri, c’è la storia della sua crescita personale e professionale e della decrescita del nostro sistema.
Che camminano sui binari paralleli degli eventi.
Che lo vedono, moderno Nerone, impegnato, in maniera discorsiva e scanzonata a rafforzare il ruolo della fortuna su quello dell’abilità, così ponendo le basi per un ragionamento che indirizzi imprenditori e professionisti a prendere le distanze dall’illusione del controllo, vero cancro dell’epoca contemporanea.
La consapevolezza di questa instabilità dei sistemi lo induce alla teoria del piano B, da contrapporre al cigno nero, all’imprevedibile che smonta e travolge gli eventi capovolgendoli.
E lo spinge, oltre, a chiedersi come l’individuo, l’imprenditore, il professionista possano sopravvivere al terremoto, facendo del piano B il piano vincente.
Nasce così la teoria dell’antifragilità, del come costruire un sistema che resista e reagisca agli shock, rafforzandosene, convertendo errori catastrofici in successi.
E’ a questo punto che Taleb balza dalle pagine del suo saggio, fino alle regole dell’economia contemporanea, e diviene un classico dei case history, studiati sui banchi delle università: “I ristoranti sono fragili: sono in concorrenza gli uni con gli altri, ma l’insieme dei ristoranti di una particolare località è antifragile proprio per questo motivo. Se ciascun singolo ristorante fosse robusto, e quindi immortale, il settore della ristorazione sarebbe stagnante o debole”.
Eccolo, il dettaglio che la ministra Castelli ha tirato fuori dalla sua memoria implicita: quello dei ristoranti, mescolato insapientemente alla teoria dell’antifragilità, che dal fallimento del singolo, dall’errore del singolo, cavalca la crescita del sistema, in un instabile equilibrio che alla fine, vede gli attori proattivi rafforzati dai cigni neri.
E non è sbagliato, per niente.
E non è un j’accuse.
E’ un assist, per i ristoratori, e per tutti gli imprenditori, lanciato male, come un’ancora che anziché planare sul fondo del mare e fissare la barca, piglia in testa il marinaio.