Niente proroga per i versamenti delle imposte: l’atteso e tanto agognato differimento per il versamento in autoliquidazione delle imposte sui redditi, prodotti dalle imprese nel corso del 2019, in scadenza per il prossimo 20 luglio (già proroga della naturale scadenza del 30 giugno) “non s’ha da fare, né domani, né mai”.
Così, il Tesoro (moderno Don Abbondio) conclude la girandola di tira e molla tra commercialisti e forze politiche: non c’è copertura.
Con buona pace di tutti.
E, sempre così, lunedì, la potenza di fuoco del premier Conte girerà i suoi cannoni all’incontrario e sparerà.
Sparerà sui commercialisti. Si, proprio loro, quelli “Utili al Paese”, come volevano essere identificati, talmente tanto che, per raggiungere l’obiettivo avevano pure messo in campo una costosa pubblicità trasmessa perfino dalla Rai. Quelli che, poi, al tempo del Covid, sono diventati, addirittura, parte della filiera degli indispensabili, ricevendo, in uno col fregio, nientemeno che la sacra investitura della dispensa dalla reclusione domiciliare.
Periranno gli imprenditori, schiacciati dal peso delle imposte, da un prelievo iniquo (da troppo lungo tempo) e intempestivo, figlio menzognero di un Governo moderno e social, che ha millantato aiuti a pioggia al tempo del Coronavirus, ed ha, poi, tempestivamente, confiscato finanche le prime entrate della ripresa.
Salvi solo lavoratori dipendenti e pensionati, per i quali il modello 730 è slittato da subito, e senza intoppi, con la volontà elementare di posticipare l’erogazione dei rimborsi, e la conseguenza, mal calcolata, di ingenerare una disparità di trattamento fra autoliquidazione con versamenti spontanei da parte dei titolari di partita iva, rimasta al 20 luglio, e quella con prelievi effettuati dal sostituto d’imposta (cioè direttamente in busta paga), postergata al 30 settembre.
I commercialisti, invece, cadranno sommersi da scartoffie e scadenze, da modelli di dichiarazione da compilare, e bonus per la sanificazione, e crediti di imposta per le locazioni, e richieste di fondo perduto
all’Agenzia delle Entrate, e richieste di prestiti bancari, e ordinarie attività di studio in mezzo al tutto. Il tutto condito da lunghe telefonate di clienti disperati, e sfiduciati, che si chiedono come mai l’Iva sia stata sospesa nei mesi della chiusura obbligatoria (cioè quando, comunque, non sarebbe maturata) e invece già al 16 giugno si è dovuto pagare, a corollario di soli 5 giorni di faticoso lavoro a singhiozzo appena ripreso.
Orbene, dunque, eccola qua la novità: il Mef non concede la proroga. Non gliene frega nulla delle aziende in crisi, dei lavoratori stremati, dei negozi quasi vuoti (di merce non acquistata, non ritirata, rimandata indietro nei giorni maledetti del lockdown, non di clienti, che quelli ci sarebbero pure), dei tavoli distanziati che hanno dimezzato gli incassi.
Non gliene frega nulla dei commercialisti, stanchi di nottate passate ad impazzire appresso alla cassa integrazione, di giornate interminabili incollati al monitor del pc, di ore spese in infiniti webinar a cercare di eviscerare decreti cervellotici e male assortiti fra basi di calcolo fluttuanti (diminuzione di fatturato tra marzo e marzo, tra aprile ed aprile) e percentuali ballerine ( a volte trenta, a volte trentatré, cinquanta, addirittura sessanta).
Non gliene frega niente.
Servono otto miliardi e quattrocentomila euro.
Ed amen.
Del resto, dove dobbiamo andare a parare?
L’attuale scenario si tripartisce.
Da una parte c’è una ministra Azzolina, che si affanna a far ripartire la scuola, millantando sconsiderati acquisti di banchi singoli e separatori in plexiglass, ignorando, poi, la necessità di prevedere (per esempio) sovvenzioni per i dispositivi elettronici che dovranno sostituire i libri. Perché, signori ministri: gli italiani non sono tutti Paperon de Paperoni, che, per inciso, era avaro come pochi!
A seguire si erge un sottosegretario Villarosa, che vaneggia, permettendosi di additare i commercialisti quali fautori della complicazione (i commercialisti, non il sistema tributario!), ignobili mazzieri dediti
esclusivamente a lucrare indebitamente sui contribuenti, ignorando, esso stesso, che troppo spesso dice, e, subito dopo, si contraddice.
A corollario, non dimentichiamo l’esistenza della sottosegretaria Castelli, che inneggia alla teoria dell’antifragilità dei sistemi economici di tale famoso economista Nassim Nicholas Taleb, avendola rivangata dai meandri delle sue conoscenze accademiche, senza, tuttavia, averne compreso la profondità del messaggio, col banale risultato di sparare solo a zero sui ristoratori.
E i commercialisti? Sono incazzati!
Meditano di scendere in piazza, di scioperare, disposti anche ad inventarsene un modo, pur di urlare al mondo il loro efferato disappunto.
Intanto, lunedì mattina, dovranno spiegare ai loro clienti che: “No, la proroga non c’è stata, e voi dovete pagare, anche se i soldi non li avete, anche se sarebbe più saggio assai destinarli a rimpinguare i magazzini vuoti, a pagare i dipendenti che sono stati in cassa integrazione e attendono ancora il saldo dall’Erario. E si, ce lo ricordiamo tutti che lo scorso anno la scadenza è stata prorogata al 30 settembre, ma, che dire? L’anno scorso erano loro in affanno, mica noi!”
E nel frattempo inneggiamo, tutti insieme, commercialisti ed imprenditori, uomini comuni e supereroi, alla proroga postuma, come la chiamano sdegnati tra di loro, i commercialisti, che ormai ci hanno quasi fatto pace con quest’abominio legislativo, che calpesta ogni principio etico e deontologico improntato al rapporto fiduciario fra fisco e contribuente.
Ma resta comunque l’ultima spiaggia.