Intervista a Francesco Filippi: "Il problema dell'Italia è il debito pubblico della memoria"

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A sorpresa, settantaquattro anni dopo, la Repubblica Italiana c’è ancora. A distruggerla non sono bastate le tensioni sociali, le crisi internazionali, il terrorismo rosso e nero, i golpe veri e finti, i servizi deviati, le massonerie, le mafie. Figuriamoci se poteva riuscirci la pandemia. Perciò anche questo 2 giugno il Presidente della Repubblica salirà le scale dell’Altare della Patria con passo cadenzato, deporrà una corona di fiori al Milite Ignoto a nome di tutti noi, osserverà le Frecce Tricolori attraversare il cielo azzurro. Nonostante tutto.

Arrivarci non era scontato. Come ricorda in questa chiacchierata con Hashtag Sicilia Francesco Filippi, storico e formatore, autore del best-seller Mussolini ha fatto anche cose buone, edito da Bollati Bordighieri. Oltre cinquantamila copie vendute, un miracolo parlando di saggistica. Filippi è appena tornato in libreria, per lo stesso editore, con Ma perché siamo ancora fascisti? Un conto rimasto aperto: “Ho continuato il discorso iniziato nel volume precedente – dice – i lettori hanno colto la continuità, i libri si stanno aiutando l’uno con l’altro. E’ una grande soddisfazione”.

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Cominciamo dalla fine. Cioè da un ex militare vestito di arancione che chiama la piazza contro la scienza e il Governo. Ci dobbiamo preoccupare?

Spero di no. Ciò che abbiamo visto sabato è la riproposizione, sotto altre vesti, dell’Uomo Qualunque, del capopopolo, del finto tribuno che non riesce a fare l’interesse delle masse ma si bea della capacità di arringarle. Pur di apparire farebbe qualsiasi cosa, persino mettere a rischio la vita delle persone.

Perché non preoccuparsi, allora?

Perché la storia d’Italia è piena di militari, o sedicenti tali, che sono arrivati molto vicino a fare danni grossi. E tuttavia non ci sono mai riusciti. Senza sottovalutarlo, porrei il generale Pappalardo in questa fenomenologia di arruffapopolo che in fondo gli italiani hanno sempre saputo gestire.

Un consenso, però, ha dimostrato di saperlo raccogliere.

In un’epoca di linguaggio urlato, vince chi urla di più. Ovviamente dentro questo contenitore non c’è nulla. Ho letto il loro manifesto: a parte le amenità come il ritorno alla lira, sbagliano persino il numero delle macro-regioni che vorrebbero istituire.

A proposito di piazze. Oggi il centrodestra manifesta contro Conte. Salvini e Meloni hanno protestato per non aver potuto deporre una corona di fiori all’Altare della Patria.

Si da il caso che quel gesto spetti al Presidente della Repubblica, che deponendo la sua corona di fiori lo fa a nome di tutti gli italiani.

Siamo riusciti a polemizzare anche questa volta.

Ecco, le polemiche che ancora si sollevano attorno ad alcune date – pensiamo sopratutto al 25 aprile – dimostrano come questo Paese non sia riuscito a sviluppare una coscienza comune. Non per nulla ieri Mattarella ha richiamato tutti a ritrovare “lo spirito costituente che rese possibile la rinascita dell’Italia”.

Il titolo del tuo libro – Ma perché siamo ancora fascisti? – è molto netto. Eppure molti, specialmente dalle parti della destra italiana, insistono sul fatto che il fascismo non possa tornare.

Sono d’accordo sul fatto che il fascismo in camicia nera, fez e orbace non si ripresenterà. Il fatto è che il fascismo è morto nel 1945, i fascisti no. Perché ciò che li genera è rimasto latente, per oltre settant’anni, aspettando l’occasione per tornare.

Il virus – per usare una metafora tristemente attuale – è ancora in circolazione?

E’ la stessa immagine che usava Umberto Eco. Il fascismo, scriveva, è un virus mutante. Un simbionte che si adatta agli organismi che vuole aggredire. Faccio un esempio: forme di velato autoritarismo strisciano oggi in contesti che il fascismo di ottant’anni fa non poteva conoscere. La rete, i social media.

Eppure proprio grazie alla rete dovrebbe essere più semplice sapere, capire.

Io ritengo che il prossimo fascismo non sarà un totalitarismo che proibisca di sapere le cose, ma che orwellianamente cambierà il senso delle parole. Dirà che “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”. E’ quello che sta accadendo sulle piattaforme social. E non parlo soltanto dell’Italia.

Negli USA Trump attacca la stampa e minaccia i social che lo accusano di diffondere fake news.

Appunto. E sono tanti gli esponenti politici internazionali che come Trump giocano sull’ambiguità delle notizie, non di rado rilanciandone di false.

Possibile che nessuno se ne renda conto?

Ovviamente molti lo fanno. Ma c’è anche chi il lunedì non ricorda ciò che ha letto il sabato. Senza memoria di medio termine si può dire tutto e il contrario di tutto. Al massimo, come faceva in tempi non sospetti il nostro Cavaliere, si potrà dire di essere stati fraintesi.

Tu sei anche un formatore e organizzi i viaggi della memoria per i ragazzi. E’ una mia impressione, o questo tipo di trappola colpisce più gli adulti che i giovani?

Formare le giovani generazioni è importante, e sono contento di averlo potuto fare anche quest’anno prima che scoppiasse la pandemia. Ma devo ammettere che larga parte della popolazione avrebbe bisogno di una formazione al ricordo e alla memoria, indipendentemente dall’età.

Per esempio?

Una delle fasce che ha più difficoltà ad interpretare le notizie sulla rete – e dunque rischia di cadere nella trappola – è quella dei cinquanta/sessantenni. Ma in generale tutta la società italiana ha difficoltà a rapportarsi con la storia e la memoria.

Non se ne esce, allora.

Bisogna cominciare ad affrontare il problema. Uso un’immagine: quello della memoria è un debito pubblico, che non riusciamo più a gestire. Possiamo continuare ad ammucchiarlo, lasciandolo sulle spalle delle nuove generazioni, oppure possiamo cominciare a saldarlo.

Abbassare lo spread, per così dire…

Esattamente. Se lo facciamo, il passato non sarà un frutto avvelenato per i nostri figli. Altrimenti il conto dovranno pagarlo loro, perché senza passato non si potrà costruire un’idea di futuro in questo Paese.

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