Le misteriose origini di “Bella ciao”, inno universale amato dai giovani

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Io, come milioni di persone sparse in tutto il pianeta, pur avendo cantato Bella ciao in occasione di tutte le ricorrenze del 25 aprile e del primo maggio, nonché in vari meeting internazionali celebrati per ricordare la liberazione di un popolo dall’invasore o dall’oppressore, non mi ero mai chiesto quale fosse l’origine di questa melodia.

Per tanto tempo ho pensato che quel grido di libertà – anzi, di liberazione dal nazifascismo – quel testo che esprime valori universali di opposizione alle dittature e alle guerre, privo di riferimenti politici o religiosi, fosse il canto dei partigiani, della Resistenza. Alcuni miei amici, invece, hanno contestato questo  convincimento, sostenendo che la canzone dei partigiani sia stata piuttosto Fischia il vento, e portando a sostegno di questa loro tesi le testimonianze di diversi autorevoli personaggi. Tra questi Giorgio Bocca, che era stato partigiano, ma poiché la canzone non era stata cantata nella sua formazione di Giustizia e Libertà nel cuneese riteneva non fosse una canzone partigiana.

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Altri amici, forse per spirito di pace, sostengono che entrambe le canzoni siamo inni della Resistenza. La differenza – secondo loro – consiste nel fatto che Fischia il vento è stata cantata dalle formazioni partigiane che operavano nel Nord Italia, mentre Bella ciao da quelle che operavano al Centro e al Sud. Altri ritengono che il testo e la musica siano influenzate dai canti di lavoro delle mondine; altri fanno risalire l’origine addirittura al Cinquecento francese, quando il Paese transalpino fu attraversato da una crisi per la successione al trono di Enrico II e per la diffusione del protestantesimo; altri ancora vedono nelle sue melodie influenze Yiddish (il dialetto parlato dalla maggioranza degli ebrei stanziati nell’Europa centrale e da quelli emigrati negli Stati Uniti).

Pare addirittura che il ritornello sia stato suonato e inciso già nel 1919 a New York, in un 78 giri dal titolo Klezmer-Yiddish swing music. A portare in America il brano sarebbe stato un certo Mishka Tsiganoff, fisarmonicista zingaro.

Comunque, dopo aver approfondito gli argomenti portati a sostegno di tutte queste tesi, mi sono convinto che abbia ragione Cesare Bermani – storico, scrittore, saggista, ricercatore di musica popolare che ha dedicato un libro a quello che è diventato l’inno della Resistenza – quando afferma che “le canzoni popolari non dovrebbero avere un padre. Anche se appare spesso qualcuno che rivendica i diritti, se non come autore, come rifacitore”.

Basti pensare che il cantautore Claudio Pestelli propone Bella ciao in almeno 40 idiomi diversi: da tutte le principali lingue slave e scandinave, all’arabo, al tagalog, la lingua più parlata nelle Filippine, fino al cinese e al giapponese. “La difficoltà – sostiene sempre Bermani – è scovare una lingua in cui manca la traduzione di Bella ciao”.

Quindi di questa canzone che cantano oggi tutti – ex partigiani, comunisti, socialisti, pompieri tedeschi, scioperanti spagnoli, manifestanti turchi che contestano Erdogan, sardine, oppositori cileni, ecc… – si possono dire solo due cose con certezza. La prima: questa melodia è stata diffusa nel Dopoguerra dai comunisti, in occasione dei festival mondiale della gioventù a cui partecipavano giovani provenienti da settanta Nazioni. Nella traduzione spagnola è diventata anche una delle canzoni della rivoluzione cubana, cantata dalla Milicias Nacionales Rivolucionarias, costituita nel 1959.

La seconda: con questo inno si sono cimentati grandi artisti nazionali e internazionali, come Francesco Guccini, Paolo Rossi, Pietro Pelù, Moni Ovadia, Yves Montand, Goran Bregovic, Woody Allen, Manu Chao, Tom Waits, Chumbawamba, la band rock anarchico inglese scioltasi nel 2012.

Oggi Bella ciao, la canzone di origine incerta che piace tanto ai giovani e ai contestatori di tutto il mondo – da ultimo anche gli ambientalisti di Greta Thunberg – è diventata un motivo universale, per il fastidio di chi soltanto ad ascoltarla soffre di orticaria, e di chi vorrebbe mettere sullo stesso piano dittatori e liberatori, nazifascisti e partigiani.

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