A seguito dell’intervento sotto forma di lettera del 6 marzo ai massimi vertici della nazione e a quelli regionali siciliani dove si sollecitava anzitempo una seria cura del settore teatrale colpito dalle misure del Covid19, e a seguito del movimento di opinione dei lavoratori del settore i cui interventi sono stati sintetizzati su la Repubblica Palermo di ieri 12 aprile 2020 da Giuseppe Dipasquale, Articolo9 lancia la proposta di iniziativa popolare legislativa sul comparto teatrale italiano.
C’è bisogno di una legge per il teatro oggi in Italia dopo che questa crisi pandemica sarà stata disciolta nella sua naturale curva di estinzione del virus e nei mille dubbi mai fugati di una crisi venuta dal nulla?
Non esiste già un decreto, il cosiddetto Franceschini, che regola l’organizzazione e la produzione dello spettacolo dal vivo in Italia?
Sì e sì, ad entrambe le domande. E sì e sì alla loro concatenazione sillogistica: proprio l’esistenza fallimentare della legge 112/2013 e successivi decreti ministeriali, esige un radicale ripensamento normativo che giunga dal basso, da chi vive le dinamiche contraddittorie della produzione e distribuzione dello spettacolo dal vivo in Italia, e non dai burocrati legati a precise lobby che poco o nulla, per la passata legge, hanno ascoltato i suggerimenti che provenivano dal settore.
Una nuova legge per il teatro, oggi quanto mai necessaria, non può certo esaurire ed appianare tutte le contraddizioni che esistono all’interno del mondo del lavoro teatrale, ma può, specie se la si intende come una nuove legge di regolamentazione, nascere con uno spirito nuovo, attento non soltanto alle regole secondo le quali è dovuto o meno un intervento finanziario dello Stato, bensì attento anche al tessuto, diremmo così, morale che consegue ad una scelta per norme di un tipo anziché di un altro.
La democrazia di un paese si misura dalla qualità con la quale si produce concretamente cultura. Dunque interventi finanziari sì, ma legati ad una prassi certificabile in termini non solo matematici: il ripensamento organico del rapporto con e tra il teatro pubblico e quello privato, la regolamentazione dei criteri di nomina dei direttori dei teatri pubblici, la revisione dei rapporti tra lavoratori e struttura, la nuova definizione del ruolo sociale ed economico degli stessi lavoratori, la scuola e il lavoro teatrale, la riqualificazione delle linee di programmazione artistica, le modalità di garanzia di lavoro e la certezza continuativa sul territorio del tessuto produttivo e di distribuzione del teatro italiano. Queste solo alcune delle linee di intervento.
Su tutto ciò, che è la sostanza, deve sovrastare il metodo: l’iniziativa deve avere la forza di una stesura diffusa, condivisa da una larghissima base, oltre i cinquantamila necessari alla firma, per approdare ad uno dei due rami del Parlamento e da lì condividere il percorso con tutti gli uomini di “tenace concetto” che saranno disposti a promuoverla e portarla avanti.
Il tempo di oggi ci impone sane utopie per sentirci ancora saldi sulle nostre gambe.