La nuova categoria di poveri: chi lavora per la pubblica amministrazione

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di Luciano Ventura, Segretario Generale Confcooperative Sicilia
Inaccettabile il disagio economico delle cooperative sociali provocato dalla burocrazia.
La ricchezza di una cooperativa è il suo capitale umano, costituito da soci lavoratori, addetti e collaboratori. Se questi cominciano a soffrire, soffre anche la cooperativa fino a morire.
Oggi le cooperative sociali, che erogano servizi alle persone disagiate su affidamento delle amministrazioni comunali, stanno soffrendo enormemente perché non riescono a riscuotere i loro crediti maturati per i servizi già resi diversi mesi fa, in alcuni casi si parla di anni. Ne segue che soci lavoratori, addetti e collaboratori stanno ingrossando le fila di chi non può più fare la spesa per le proprie famiglie. Da qui l’assunto: di pubblica amministrazione si può anche morire.
Da settimane poi non abbiamo più notizie di pagamenti da parte dell’amministrazione comunale. Non parliamo dei crediti rimasti incastrati nei dissesti economici dei comuni, ma dei servizi effettuati e regolarmente rendicontati nell’arco del 2018 e 2019. Speravamo che almeno le spese correnti dei servizi socio-assistenziali venissero sbloccati. Ed invece dobbiamo registrare, ancora una volta, lo stesso andazzo e cioè tempi che si dilatano, soldi che non arrivano, gente che soffre. 
In questo girone dantesco troviamo anche gli enti che hanno operato sui fondi vincolati, gestiti da alcuni Distretti socio sanitari come ad esempio quelli, di cui sono capofila rispettivamente il comune di Catania o il comune di Giarre, entrambi dissestati.
Quanto sarebbero utili oggi a questi enti e ai loro lavoratori i soldi attesi, soprattutto adesso che gran parte dei servizi che svolgevano – quelli domiciliari innanzitutto – sono stati in parte sospesi per via dell’emergenza COVID 19.
Certo comprendiamo che il virus ha costretto anche ogni amministrazione comunale a modificare le procedure, gli orari di lavoro, l’accesso agli uffici e che in generale la prima vittima è stata la produttività. Ma non è comunque accettabile, ancor di più oggi, che, per un dovere disatteso, si spingano tante persone verso il disagio estremo, quello di chi appunto, non ha più i soldi per fare la spesa. Allora, ancor prima di raccogliere fondi (iniziativa lodevolissima), si faccia una cosa più semplice: far funzionare degnamente la macchina amministrativa e si liberino le risorse dovute.
Eppoi non c’è modo di avere notizie. I telefoni degli uffici rimangono muti e tutti sono alla ricerca, quasi sempre vana, di informazioni che siano attendibili. Insomma il COVID 19 ha messo il carico da 11 su una situazione già molto precaria e cioè comuni senza risorse, ed ora anche senza entrate, che dovrebbero onorare i debiti contratti per servizi già resi. Qui si rischia un default dall’effetto domino, che parte dai comuni ed arriva dritto dritto alle cooperative sociali ai loro soci lavoratori, addetti, collaboratori per scaricarsi inevitabilmente anche sugli assistiti.
Chi li potrà salvare? Lo Stato? La Regione? Forse nel momento dell’emergenza, alcune esigenze potranno tamponare, ma la lezione è fin troppo chiara per non essere compresa: anche la pubblica amministrazione, intesa come istituzione, dovrà cambiare pelle, a partire da un sincero ripensamento delle regole sui trasferimenti Stato-Regione-Comuni, perseguendo in ogni modo quel delicato difficilissimo equilibrio tra entrate e uscite, tra risorse disponibili e necessità della comunità.
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