Nessuno di noi sa con certezza quanto riusciremo a sconfiggere questo mostro senza cuore che, oltre a mietere migliaia di persone, soprattutto anziane, ha messo a dura prova il sistema sanitario nazionale e in ginocchio moltissime attività imprenditoriali lasciando senza reddito i lavoratori e privando dell’essenziale chi già aveva poco o niente.
Tutte le crisi, anche quelle più crudeli – ci dice la Storia – hanno un inizio e una fine. Quindi pure questa avrà un termine; neppure questo però sarà sufficiente se ci limiteremo a eliminare gli effetti di questa tragedia lasciando invariate le cause.
Il Governo, nella situazione data, ha cercato (con qualche ritardo e qualche incertezza) di fronteggiare questa guerra e di rispondere al meglio alle pressanti richieste del personale sanitario, delle famiglie, dei lavoratori (dipendenti e autonomi) e delle imprese. Purtroppo però restano ancora privi di qualsiasi risposta i lavoratori in nero e quanti vivono di espedienti, e si arrangiano svolgendo attività talvolta al limite della legalità. Un mondo questo che nel Sud e in Sicilia è costituito da centinaia di migliaia di persone.
Basti pensare che – secondo uno studio della Cgil – a Palermo un lavoratore su tre opera in nero. Quindi, al riguardo, ha fatto bene il ministro Beppe Provenzano a porre la questione e a proporre di estendere il reddito di cittadinanza a questi soggetti.
Rispetto ai tanti problemi aperti, il Governo ha dato risposte utili ma non esaustive. Lo stesso hanno fatto i Governatori delle Regioni e i sindaci, che si sono mossi per attenuare le angosce dei cittadini e per portare aiuto a chi ne aveva più bisogno. Ma tutto ciò purtroppo non è stato sufficiente. Dobbiamo fare tutti molto di più, perché quando finirà questa via crucis il mondo che abbiamo conosciuto sin’ora non ci sarà più: ci troveremo in una specie di anno zero in cui tutto sarà cambiato, la politica, l’economia, la stessa vita sociale. E ripartire dall’anno zero significa trovarsi con un apparato produttivo fortemente indebolito; con decine, forse centinaia di migliaia di artigiani e commercianti che non avranno la forza di alzare la saracinesca; con un esercito di lavoratori che non avranno più un’occupazione; con generazioni prive di futuro, e con i poveri che saranno ancora più poveri.
Ecco perché mi ostino a non capire il comportamento di alcuni Governatori che alimentano il conflitto con lo Stato e polemizzano con il governo centrale dimenticandosi che in materia di sanità le competenze sono delle Regioni (allo Stato compete la gestione e il coordinamento delle emergenze), per cui senza voler spostare la croce sulle spalle di altri dico: oggi le denunce e le polemiche non servono.
Con ciò non voglio dire che bisogna tacere sulle criticità che si sono riscontrate nella consegna da parte della Protezione Civile di mascherine, guanti, camici, ventilatori, respiratori, ecc. Voglio solo dire come ha ricordato Papa Francesco “su questa barca ci siamo tutti”, quindi se vogliamo salvarci dobbiamo remare tutti dalla stessa parte. Non servono neppure le reazioni scomposte di alcuni sindaci, i quali di fronte ad alcune centinaia di siciliani (non di barbari o di unni guidati da Attila) che volevano sbarcare in Sicilia hanno minacciato fuoco e fiamme, dimenticandosi che appena dieci giorni prima uno di loro, in polemica con il Presidente della Regione – che chiedeva alle genti del Nord di non venire nell’isola – dichiarava urbi ed orbi che invece esse erano benvenute, aggiungendo, nel contempo, che se costoro non fossero venuti sarebbe stata una tragedia per i B&B e per tutti quelli che vivono di turismo.
Non è stato uno spettacolo edificante vedere le immagini di quei siciliani (compresi donne e bambini) esposti per 72 ore alle intemperie, a dormire in macchina e costretti a fare i propri bisogni all’aperto. Sarebbe stato molto più umano fare quello che si è fatto dopo: “schedarli“, segnalarli ai sindaci dei paesi dove erano diretti e metterli in quarantena. Questo approccio avrebbe tranquillizzato meglio di qualsiasi discorso chi temeva che i nuovi arrivati potessero portare il contagio.
Rispetto allo scenario che abbiamo davanti il Governo ha preannunciato un’altra manovra di 25/30 miliardi di euro per replicare alcune delle misure già in atto, per rafforzarne altre e per dare qualche risposta a chi è privo di qualsiasi tutela.
Se penso però a quello che stanno facendo gli altri Paesi per fronteggiare le conseguenze economiche del coronavirus, noi ancora non ci siamo. Infatti gli Stati Uniti hanno messo sul piatto 2mila miliardi di dollari; la Germania sta predisponendo un piano che pone dai 550 ai 1.000 miliardi di euro a disposizione del sistema economico (un importo che va dal 16 al 30 del Pil tedesco); la Francia ha predisposto un piano da 300 miliardi, una cifra superiore al 10 per cento del proprio Pil. Noi, invece, mettendo insieme le somme stanziate con il decreto cura Italia (25 miliardi) con quelle annunciate per aprile si arriverebbe a 50-55 miliardi (2,7 – 3 % del Pil). Se riuscissimo ad accedere alle linee di credito del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) – che prevedono però le “condizionalità” – potremmo racimolare altri 36 miliardi, vale a dire altri 2 punti di Pil. Non è quello che sarebbe necessario, ma potremmo comunque difenderci e ripartire.
Ha fatto bene dunque il Presidente della Repubblica Mattarella a scuotere gli egoismi europei con un messaggio che stavolta punta il dito non contro la Bce o la Commissione, ma contro i Capi di Stato e di Governo che non si rendono conto che per affrontare la devastante crisi che ci attende, servono “ulteriori iniziative comuni, superando vecchi schemi ormai fuori dalla realtà delle drammatiche condizioni in cui si trova il nostro Continente”.
Insomma per dare a tutto il sistema delle imprese il carburante di cui avranno bisogno per ripartire, abbiamo bisogno di un’Europa che non sia solidale a parole, ma con i fatti. Compito del Governo in questa situazione, non è solo quello di mobilitare quante più risorse possibili, ma anche quello:
a) di fare in modo che i soldi già stanziati e quelli futuri arrivino ai destinatari nell’arco di una settimana, perché i lavoratori dipendenti non hanno percepito il salario di marzo e gli autonomi hanno avuto solo costi senza incassare niente;
b) di garantire liquidità a tutto il sistema delle imprese con prestiti a tasso zero da restituire in 25-30 anni. Senza porre condizioni ai piccoli imprenditori: non si può limitare il sostegno a chi, per esempio, non ha un pregresso di “sofferenza bancaria“, anche perché, parlando della Sicilia, non c’è artigiano o commerciante che non abbia avuto un momento difficile dietro le spalle. Oggi tutti hanno diritto all’accesso al credito e non soltanto coloro che non hanno mai avuto sofferenze e criticità. Un diritto che ai piccoli può essere garantito solo se vengono sganciati dalle regole e dai tempi delle banche;
c) di azzerare o comunque ridurre drasticamente qualsiasi incombenza burocratica. Sboccando subito tutti i cantieri per la realizzazione di grandi, medi e piccole infrastrutture. Individuando al riguardo procedure e autorità (sindaci o commissari ad hoc) che agiscano senza mediare con nessuno, se si fanno corrompere o fanno porcherie si sbattano in carcere e si butti pure la chiave;
d) di cancellare o dimezzare le tasse e le imposte che sono state rinviate, concedendo anche una più consistente dilazione di pagamento;
e) di ridurre almeno del 20% il carico fiscale che grava sulle imprese, di mettere più soldi nelle tasche dei lavoratori e colpire con durezza gli evasori.
Insomma, per ripartire non vanno bene le regole e i paradigmi che abbiamo seguito sinora. Occorre voltar pagina tutti insieme. Occorre che Governo centrale, Governi regionali, sindaci e amministrazioni locali, partiti (di maggioranza e di opposizione) e parti sociali agiscano come un solo uomo.
Nel giorno in cui l’Italia tocca il picco dei morti e vede qualche spiraglio nel numero dei contagi, alla stragrande maggioranza degli italiani non interessa il numero delle apparizioni televisive del premier e dei Governatori, nè interessano i giochini di questo o quel partito o i destini di questo o quell’altro deputato o ministro. A tutti noi oggi interessa una sola cosa: essere liberati il prima possibile dall’incubo nel quale siamo precipitati e ripartire con più forza di prima. Di tutto il resto ci sarà tempo e modo di discutere, dopo.