CATANIA – “Trasformare il veleno in medicina”. Suona come un principio alchemico il pensiero dell’architetto Giancarlo Leone sull’urbanistica catanese. Dal suo osservatorio professionale di Milano, mentre mezza Italia si blocca spaventata del virus e l’altra mezza si spaventa dello spavento, punta l’attenzione sulla sua città d’origine, quella in cui gli architetti Leone sono stati protagonisti sin dagli inizi del Novecento. E partendo da un fatto di attualità – la demolizione dell’ex Palazzo delle Poste di viale Africa – immagina le prospettive della città futura: “Catania ha una grande occasione – dice ai nostri microfoni – Non più opere incompiute, vuoti urbani dimenticati, quartieri disillusi. Bastano un pizzico di saggezza e la necessaria competenza per trasformare il veleno in medicina”.
Architetto Leone, cosa vuole dire?
Il veleno è lo stato delle cose, un accumulo di scelte sbagliate e di “non scelte” protrattesi nel tempo; la medicina sarebbe avere persone competenti in termini di politica urbanistica ed urbana, che diano un segno forte alla città. Penso all’ex Palazzo delle Poste, ma il tema è molto più ampio, riguarda la città dei prossimi venti, trenta, quarant’anni.
E cosa vede in viale Africa tra vent’anni?
Secondo i programmi, lo spazio dell’ex Palazzo delle Poste è destinato alla cittadella giudiziaria. Ma se ci fosse la volontà politica, nulla impedirebbe di realizzarvi un prato, un parco, di “costruire” un “vuoto urbano”.
Ovvero?
Restituire il mare alla città, e la città ai cittadini. Catania ha l’occasione di creare polmoni urbani per fare respirare se stessa. Per accogliere tra le vie, i viali e il suo Barocco quella brezza marina che oggi non riesce più ad entrare in città.
E la cittadella giudiziaria dove andrebbe a finire?
La cittadella dovrebbe essere realizzata a Librino. Lì c’è spazio, e si darebbe un forte segnale di legalità al quartiere e alla città. A Librino vivono tante persone perbene, costrette a convivere con alcuni delinquenti. La cittadella giudiziaria sarebbe il simbolo di un’alleanza tra l’Amministrazione e la cittadinanza onesta, un impegno a sradicare l’illegalità. Sarebbe un esempio per molti.
Ma sarebbe pratico?
Sarebbe molto più pratico che continuare a portare auto e persone in una città ormai satura. Librino è comodamente raggiungibile dalla tangenziale, e più vicino all’aeroporto, a vantaggio di coloro che dovranno usufruire della struttura, di giudici, avvocati e cittadini che arrivino dalla Città, dalla Regione o dal resto del Paese. Ma soprattutto si darebbe valore ad un quartiere nato per essere il segno di futuro della Milano del Sud, e divenuto invece un luogo disilluso.
A proposito di “vuoti “, in città non mancano gli spazi da recuperare.
No di certo. Pensiamo ai quartieri: quelli antichi, come San Cristoforo e San Berillo, o quelli “nuovi”, come tutta quella periferia catanese che è abitata, ma non è ancora divenuta città. Bisogna cambiare prospettiva. Il punto non è costruire, ma riutilizzare ciò che abbiamo già. Sono cinquecento anni che costruiamo. Adesso è tempo di riuso.
Voltiamo pagina, insomma.
Serve un po’ di coraggio. Se ci sono edifici dismessi, inutilizzati, bisogna avere la forza di demolirli e recuperare gli spazi senza costruite altri volumi. Sopratutto se si affacciano sul mare. Catania deve poter guardare il mare, viverlo con la vista, con l’olfatto e con l’emozione.
Il mare. In viale Africa si è parlato di recupero della ferrovia per avvicinarlo.
Fare una passeggiata sul mare al posto della ferrovia era una vecchia idea di mio padre [l’architetto Rosario Leone, 1927-2013, ndr]. Ma per rendere la passeggiata fruibile bisognerebbe collegarla alla “quota della città”, attraverso l’apertura di nuovi spazi che diventino il tramite con il Mare. Ma qui torniamo al discorso di prima.
E poi?
E poi c’è Corso dei Martiri, che io lascerei libero.
Libero?
Sì, libero. Realizzerei un bosco in città. Un bosco orizzontale, un vero bosco. Ciò significherebbe ritrovarsi tra vent’anni con una foresta dentro Catania. Con un verde costruito che lascerebbe respirare la pietra lavica…
A proposito di spazi da costruire. La Playa?
Mio nonno Raffaele [l’architetto Raffaele Leone, 1897-1981, ndr], negli anni Quaranta e Cinquanta, sosteneva che lo sviluppo urbanistico di Catania dovesse rivolgersi verso sud lungo l’asse della Playa, verso Siracusa. Io concordo con la visione di Nonno Raffaele.
Sviluppo urbanistico. A che punto sono le grandi città europee?
E’ un tema complesso. Perché a mio avviso la città moderna ha sottovalutato il futuro e perso di mira la qualità della vita. Milano, per esempio, sta costruendo ovunque, con eccessivo uso del cemento e poco rispetto degli ormai rari vuoti urbani. Parigi, invece, sta facendo dei passi avanti. E’ una città che respira, nella quale il rispetto degli spazi urbani è stato attenzionato nel corso del tempo. Anche Barcellona è così, tanto per citare una città di mare come Catania.
Il mare. Si torna sempre lì.
Sì, perché il punto è restituire il mare alla città e la città al mare. Una città di mare che nega il mare, nega se stessa… Per questo motivo la demolizione dell’ex Palazzo delle Poste, un vero obbrobrio architettonico, è un’occasione immensa. Un’occasione unica e lungimirante, come dovrebbe essere la politica della (e per la) città.
Lungimirante o illusoria?
Fare l’Architetto è illudersi. Quindi se veramente si facesse, in questo “neonato” vuoto urbano, un prato, un parco, un luogo dove i catanesi imparino nuovamente a guardare il mare, si darebbe un segnale di non poco conto, sul piano morale, politico ed urbanistico. Si creerebbe un precedente positivo, che potrebbe mutare le sorti della città.
E trasformare il veleno in medicina?
Diciamo così. Spero che Catania, una volta ultimata la demolizione dell’ex Palazzo delle Poste, sappia far nascere un serio dibattito in cui le opinioni siano a vantaggio della città e non della politica di turno. Mi auguro che possa ritrovare la sua posizione strategica fra il mare, l’Etna e la maggiore pianura della Sicilia. Che possa tornare ad essere un capoluogo di mare, e ritrovare così la sua anima.
Giancarlo Leone è nato a Catania. Architetto, titolare, con Luta Bettonica, dello studio Bettonica Leone; si occupa di progettazione, restauro architettonico e design; guarda le città cercando di intervenire quando i processi evolutivi lo consentono. Vive e lavora tra Milano e il Capoluogo Etneo (Foto di Stefano Anzini).