CATANIA – Dopo la mostra di Taormina del 2001, le opere pittoriche di Giuseppe Fava saranno nuovamente esposte in Sicilia.
La mostra, organizzata dall’Assessorato alle Attività e ai Beni Culturali del Comune di Catania e dalla Fondazione Giuseppe Fava presso la Galleria d’Arte Moderna (GAM) di Catania (via Castello Ursino angolo via Transito) sarà inaugurata mercoledì 19 febbraio 2020 e rimarrà aperta sino a sabato 14 marzo 2020. Ingresso libero, dal lunedì al sabato, con orario continuato dalle 9:00 alle 19:00. Domenica e festivi chiusa.
La mostra La pittura come documento racconto e denuncia, che si terrà presso la Galleria d’ Arte Moderna (GAM) di Catania dal 19 febbraio al 14 marzo 2020 intende analizzare e divulgare la produzione pittorica di Giuseppe Fava (Palazzolo Acreide 1925 – Catania 1984), giornalista ucciso per mano della mafia il 5 gennaio del 1984. L’esposizione, progetto della Fondazione Giuseppe Fava, e curata da Giovanna Mori, ha l’obiettivo di portare a conoscenza del pubblico che Giuseppe Fava, oltre che giornalista, fu scrittore, drammaturgo, cineasta e anche pittore.
La mostra raccoglie e presenta circa 70 opere, tra dipinti ad olio, incisioni e disegni realizzati lungo un arco di tempo che corre dalla fine degli anni Cinquanta ai primi anni Ottanta
Una potenza cromatica ed una forza espressiva vigorosa animano le tele degli anni Sessanta: figure disposte su un ravvicinato primo piano si stagliano contro case addossate e chiese barocche. È la Sicilia con i suoi abitanti, le sue architetture e le sue piaghe profonde quella che Fava mette in campo. La descriverà con il suo occhio di giornalista, indagatore e preciso, ma anche con quel senso di appartenenza che lo condurrà a cogliere, di questa terra ferita, una recondita bellezza.
Tra le pitture del primo periodo se ne distinguono alcune delicate e malinconiche (Ragazza, Costanza della passione, Gli amanti) altre più sottilmente dolenti (La Padovana di San Cristoforo, San Berillo di notte, Madre e figlio) fino a riconoscere in talune, sempre a ridosso della metà degli anni Sessanta, l’incisività della denuncia. La zolfara del 1963 descrive la povertà, lo sfruttamento dei minatori che tornano in superficie gialli di fatica e di zolfo; ammassati tra loro si sostengono nella sofferenza, ma sono vite consumate nell’indigenza e nel dolore. Sono del 1965 Studio sul dolore, Posa per un mafioso e La vendetta: evidente in tutte il desiderio di descrivere l’oppressione di una mafia sempre più aggressiva e brutale. Studio sul dolore, scelto come icona della mostra, è una crocifissione moderna, un supplizio dei nostri tempi che ci conduce, con quel sorprendente primo piano privo di scenografia, nel dolore estremo di chi subisce una violenza e nella disperazione di chi resta.
Un piccolo numero di opere, probabilmente collocabili negli anni Settanta, ci colpisce invece per il tono più lieve dei soggetti: volti di donne, musicisti jazz, una madre con bambino in braccio e uno scorcio di case, dalle tinte tenui, strette tra loro. Questa iconografia, unita ad una stesura disinvolta del colore e, in due di queste, ad una composizione serrata che sembra anticipare soluzioni nuove, ci fa pensare ad un Fava temporaneamente diverso, forse in una fase di transizione: qui è artista appassionato e curioso, abile e sperimentatore.
Poi negli anni Ottanta il desiderio di Fava di fare della pittura uno strumento di denuncia sociale si combina e si arricchisce nell’analisi delle fonti portandolo ad elaborare un’iconografia talvolta allegorica: la distribuzione di volti in uno spazio compresso (Il Processo) diventa una sorta di cifra stilistica che l’artista utilizzerà anche nella sua vasta produzione incisoria e grafica. Volti brutti, minacciosi, sgradevoli per parlare di malaffare e corruzione ed in alcune tele del 1980 e 1981 il pittore per descrivere le miserie dell’animo umano si avvale di riferimenti al repertorio iconografico enigmatico, surreale e macabro di Hieronymus Bosch.
Presenti in mostra molte acqueforti, tecnica a cui l’autore si dedicò dal 1975 e che gli permise di elaborare soggetti e trattare tematiche che avrebbero contribuito a raccontare la sua isola: Cerimonia patriottica, La consegna delle case popolari, Il fatto di cronaca ed altri ancora sono scorci efficaci ed autentici sulla Sicilia sofferente ed offesa, sulle sue speranze trasformate quasi sempre in illusioni.
L’opera grafica si distingue poi per la verve provocatoria e pungente con cui il pittore deride la figura del mafioso, raffigurato in alcuni disegni goffo, ottuso e grossolano, consapevole di quanto lo scherno fosse inviso ed aborrito dai malavitosi. Altri disegni evidenziano invece il desiderio dell’artista di fermare sulla carta un volto, l’emozione di un attimo, un’espressione fugace.
Fava costruisce racconti e porta avanti denunce anche con la pittura e lo fa con il coraggio degli uomini onesti. Nello stesso tempo scrive inchieste, romanzi, opere teatrali e continua a fare il suo mestiere di giornalista. Nel 1982, dopo avere assunto il ruolo di direttore del Giornale del Sud, dal quale verrà licenziato per il tono graffiante dei suoi articoli che non contemplava compromessi, fonda il mensile I Siciliani, che da subito farà della ricerca della verità il suo unico fine.
La mostra è un’occasione per cogliere ed apprezzare la poliedricità di Giuseppe Fava, il suo muoversi con efficacia su vari ambiti espressivi strettamente integrati fra loro poiché uniti dal medesimo intento: osservare per raccontare con sguardo lucido e senza timore.
L’esposizione sarà arricchita da materiale documentario quali fotografie, prime edizioni, presentazioni di personali e video che permetterà ai visitatori di avvicinarsi ulteriormente all’artista ed alla sua opera.