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“Fin da quando mi avevano messo addosso la divisa sapevo che sarei diventato un mostro, una macchina fatta di ferro e cavi intersecati fra di loro solo per fare del male. […] Ero consapevole di ciò che facevo e lo facevo comunque, come tutti, provando un dolore che mi appariva ancora inspiegabile”. Si descrive così l’ufficiale tedesco protagonista di Hans Mayer e la bambina ebrea, il primo libro della quattordicenne Eleonora Spezzano, appena uscito per Bonfirraro Editore. La prima presentazione, di fronte ad un folto pubblico, si è svolta pochi giorni fa al Palazzo Alvaro di Reggio Calabria. E se al lettore sembrerà inverosimile che una ragazza così giovane abbia scritto un romanzo su un tema complesso come il nazismo, e una casa editrice indipendente abbia deciso di pubblicarlo, noi non possiamo farci molto: soltanto parlarne con la diretta interessata, e capire se quella che sentiamo crescere dentro di noi – nella Giornata della Memoria – è davvero speranza.
Eleonora, perché un romanzo sul nazismo?
Sin da bambina sono stata molto appassionata di storia. Quando a scuola ho sentito parlare per la prima volta della Shoah, mi sono chiesta come fosse potuto accadere qualcosa di così orribile. Per una bambina non è una cosa facile da capire. Col passare degli anni mi sono interessate sempre di più a quel periodo, leggendo libri, facendo ricerche, guardando documentari. Sempre per rispondere a quella domanda: com’è stato possibile?
Sei riuscita a darti una risposta?
Non è stato facile. Quando si è bambini si tende a ricondurre il male alla presenza di un cattivo, di un tiranno che fa cose orribili per raggiungere i propri fini. Crescendo ci si rende conto che non è tutto bianco o tutto nero, ci sono molte sfumature. Accanto a ideali malati, progetti folli, cattiverie incredibili c’è un popolo che li ha permessi. Nel caso del nazismo, un popolo stanco, affamato, umiliato dalla sconfitta nella Prima Guerra Mondiale.
In quell’umiliazione Adolf Hitler impiantò il seme del nazismo.
Esatto. Quando si è disperati si finisce per credere a chiunque. Quando ci si sente insicuri, si tende ad affidarsi a chi promette sicurezza. E non si tratta soltanto di insicurezza materiale, economica, tangibile, basta ci sia un’insicurezza psicologica. Tutto ciò che i tedeschi hanno fatto e permesso viene da lì. In un altro momento della loro storia, magari, gli ideali nazisti sarebbero sembrati anche a loro assurdi e folli.
Torniamo al romanzo. Quando hai deciso di scriverlo?
Come dicevo ho approfondito molto l’argomento, e in terza media ho avuto l’idea di una storia su un ufficiale nazista. Ho scritto il primo capitolo, quasi per gioco, come se fosse un piccolo racconto. Poi l’ho mostrato ad una mia amica, e siccome le è piaciuto tanto ho deciso di continuare. Così è venuto fuori il libro.
Accenniamo un po’ la trama per i lettori.
Questa è la storia di Hans Mayer, un giovane ufficiale tedesco con un passato oscuro alle spalle. Un passato che ha deciso di seppellire e dimenticare, ma che lo ha reso una persona fredda, senza scrupoli, obbediente al regime. Un uomo in trappola in un mondo di violenze. Un giorno incontra per caso una bimba ebrea, Marie, che cambierà la sua vita costringendolo a fare i conti col proprio passato.
Come hai costruito il personaggio di Marie?
E’ un personaggio particolare, sopratutto se accostato al protagonista. Diversi aspetti del suo carattere sono speculari a quello di Hans, per esempio la vitalità, la positività, l’innocenza. Pur essendo cresciuta tra grandi sofferenze, la guerra, la fame, la povertà, riesce a trasmettere una grande voglia di vivere. Come dicevo, un carattere diverso e allo stesso tempo simile a quello dell’ufficiale.
Il tuo è un romanzo storico. Il lavoro di documentazione è stato difficile?
Diversi documentari che avevo visto mi hanno permesso di abbozzare lo sfondo della vicenda, luoghi, situazioni, costumi. Poi naturalmente ho avuto bisogno di ulteriori ricerche, sui libri e sul web, per rendere l’atmosfera il più verosimile possibile. Per esempio, in una scena avevo bisogno di una fonte di luce: ho dovuto fare delle ricerche per capire che tipo di illuminazione vi fosse all’epoca e non rischiare imprecisioni.
Eleonora, la domanda che tutti si pongono oggi è: può accadere di nuovo?
Io spero che non succeda mai più quello che successe allora. Purtroppo i presupposti ci sono. La natura umana non riesce ad imparare dai propri errori, almeno a livello macroscopico. Il nazismo è stato un evento sociale, seguito da moltissime persone. La storia e la memoria sono l’antidoto, ma bisogna coltivarle.
Il fatto che una ragazza della tua età si sia impegnata per scrivere un romanzo su quel periodo dà speranza. Ma i tuoi compagni condividono la tua maturità?
Sì, i miei compagni di scuola e i miei amici sono molto maturi, anche rispetto ad altri ragazzi della nostra età. Non è un fatto scontato, perché molti adolescenti subiscono il fascino di quel periodo oscuro della storia. Anche a me è capitato di incontrare ragazzi catturati dal nazismo. E’ una cosa molto brutta.
Cosa si può fare per loro?
Come dicevo, l’unico modo di superare questi atteggiamenti è coltivare la memoria. E a quattordici anni non si è troppo piccoli per farlo. Ne va del nostro futuro.
Eleonora, la dedica del libro è per la tua nonna.
Nonna Tina è stata una gran donna. Da bambina conobbe la guerra in prima persona, e con i suoi racconti mi ha aiutato a scrivere questo romanzo. Purtroppo ci ha lasciato questa estate, prima della pubblicazione del libro. Quando l’ho chiuso, ho deciso di dedicarlo a lei. Non ha potuto tenerlo in mano, ma spero che possa essere lo stesso orgogliosa di me.
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