CATANIA – “Noi siamo la nostra memoria / noi siamo questo museo chimerico di forme incostanti / questo mucchio di specchi rotti”. Potrebbero essere questi versi di Jorge Luis Borges l’esergo allo spettacolo “Mnemo” di Marta Greco, andato in scena l’11 e il 12 gennaio al Teatro Coppola di Catania. Un’analisi del concetto di “memoria” attraverso la danza, strumento interpretativo come la musica e la poesia. Accanto alla memoria delle emozioni, infatti, vi è una memoria del corpo che nel movimento e nelle pulsazioni della danza trova la migliore espressione.
A concepire, coreografare e interpretare lo spettacolo la catanese Marta Greco, già componente di compagnie importanti in Italia e all’estero (tra le altre, la Compagnia Zappalà Danza 2 di Catania, la Shobana Jeyasing Dance Company di Londra e la Siberia Dance Company di Paloma Muñoz, in Spagna), reduce dal successo dello spettacolo “Monster” presentato a Graz, in Austria, in duetto con Amanda Rubìo Sanchez. “Mnemo” è il suo nuovo progetto, questa volta anche in veste di autrice, con i costumi di Carlotta Bonura, le luci di Gabriele Pizzuto, l'”occhio esterno” di Silvia Oteri, la fotografia di Dario Spoto e le illustrazioni di Irenea Privitera. Le musiche (una selezione di tracce di altri artisti insieme a proprie composizioni) sono state curate da Danilo Randazzo, il testo e l’adattamento da Anna Mangiameli.
“Questo progetto pone al centro il concetto di ricordo e vuole analizzare il modo in cui i ricordi influenzano la nostra persona – scrive la Greco nelle note di regia – ovvero il rapporto che ognuno di noi stabilisce o crede di stabilire con essi. L’interrogarsi sul chi siamo ritorna spesso alla nostra mente, soprattutto in alcune fasi, in cui ci scontriamo con le diverse personalità che abbiamo accumulato nel corso della vita. Intorno a noi tutto è incerto e a volte ignoto, è una lotta comune in cui velocemente cerchiamo di riassemblare i pezzi della nostra essenza, vivendo la tragicità del non riuscire a incastrarli”.
È nella dramma di questa condizione, secondo l’autrice, che si realizza il ruolo “terapeutico” dei ricordi: “Sono un bagaglio positivo e imprescindibile, anche se a volte fuori misura, che indica una direzione. Ma questi non sono sempre limpidi e subiscono nella nostra mente delle trasformazioni. Il ricordo delle cose passate non necessariamente corrisponde al vero: al pari dei sogni va interpretato e costituisce la letteratura privata di ogni singolo uomo. A volte poi acquista la forma di un cassetto pieno di cianfrusaglie dove le cose più importanti si perdono, lasciando spazio all’inutile e al superfluo. I ricordi ci seguono e ci perseguitano, lasciando in noi una scia indelebile che inevitabilmente influisce sul nostro agire“.
Una scia che non di rado può trarci in inganno: “A volte mentono e non sempre riusciamo a ricostruirli e a trarne un senso – sottolinea Marta Greco – Quindi ci ossessionano, ci fanno paura, e non ne capiamo il perché. Questo progetto allora vuole essere un viaggio lungo i ricordi personali per analizzarli, studiarli e interpretarli, con l’obiettivo di ricostruirne un ordine volto alla conoscenza di noi stessi. Visivamente i ricordi si presentano come un susseguirsi di scatole chiuse di diverse dimensioni e piene di frammenti che si aprono e si chiudono incontrollate. Alla fine, all’estremità della catena, si trova la spazzatura: una serie di oggetti deteriorati che non hanno mantenuto il loro valore e che riemergono come rifiuti. Sono fossili tangibili, individuali e collettivi, del nostro passaggio nel mondo”.
E il “nostro passaggio nel mondo” tradisce echi letterari e filosofici, da Borges a Proust, da Calvino ad Aristotele. Ed è proprio qui che si realizza la confluenza tra intelletto e corporalità: “La relazione tra ricordo e movimento è già chiara in Aristotele che attribuì al ricordo un carattere attivo ed una base fisica, traducibile quindi in movimento. Questo concetto è alla base del progetto e ne costituisce il punto di partenza. I due elementi appaiono legati in quanto i ricordi sono qui considerati non come delle registrazioni statiche del passato ma, al contrario, come perfomance dal vivo scatenate da imput del presente. In questa prospettiva sono i sensi a recepire i ricordi e condurci ad essi attraverso la memoria del corpo. Come Proust con la sua Madeleine, ricordare attraverso il senso è qualcosa di involontario che inconsapevolmente ritorna alla mente e che, saltando il continuum temporale, fuoriesce”.
“Il ricordo è quindi fisicità esprimibile attraverso il movimento – conclude Marta Greco – L’analisi del ricordo che, attraverso i sensi, si rende movimento, agisce su un asse temporale che non implica soltanto il passato, ma che coinvolge anche il futuro. Il risultato è una ricerca che scardinando la linearità del tempo intreccia delle connessioni tra passato e futuro in grado di creare la percezione, finalmente libera, di noi stessi”.