CATANIA – Solo in Italia oltre 1 milione di persone soffrono di demenza, 600 mila vittime della forma più conosciuta ovvero l’Alzheimer. Numeri che impongono una riflessione, numeri che si sono vertiginosamente alzati con l’aumento della vita media. Di questo e molto altro si è parlato nel corso di un congresso denominato appunto ‘Disturbi cognitivi e demenze: dalla gestione integrata ai percorsi assistenziali’ che si è svolto all’Hotel Villa Itria di Viagrande. Una due giorni di lavoro intensa, ma soprattutto proficua.
“Il bilancio – spiega Mario Santagati, coordinatore scientifico del congresso – è sicuramente positivo: c’è stata un’ottima presenza in termini il numero ma anche in termini di attenzione. In particolare rispetto al dibattito dedicato al percorso assistenziale, la partecipazione è stata davvero forte in quanto si sono analizzati dei temi legati alle varie figure e di come possono mettersi essere relazione tra loro. Questo è senza dubbio l’aspetto fondamentale che volevamo cogliere, infatti uno degli obiettivi del nostro corso era proprio quello di provare a gettare una pietra nello stagno per fare in modo che le varie figure, le varie strutture possano cominciare a colloquiare tra loro in modo agevolare il percorso del paziente”.
“Obiettivo certamente raggiunto – conferma Dario Cannavò, coordinatore scientifico del congresso – il nostro intento era appunto quello di mettere in comunicazione le varie figure sanitarie e non, perchè come abbiamo visto ci sono anche i familiari e le associazioni dei familiari. Quindi è fondamentale mettere tutti in rete al fine di migliorare la gestione e la qualità di vita dei pazienti affetti da demenza”.
La demenza in Italia e, più in generale nel mondo, può essere considerata una questione sociale, sia solo perché tra pazienti, parenti e caregiver questa patologia coinvolge almeno 3 milioni di persone
La famiglia – spiega Mario Trabucchi, direttore Scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia – è sostanzialmente in difficoltà nel prestare assistenza 24 ore al giorno una persona affetta da demenza, in particolare se ha anche dei disturbi comportamentali. Diventa necessario, dunque, trovare un’organizzazione esterna che in qualche modo aiuti e non mi riferisco solo all’assunzione di badanti. E’ necessario che il sistema sanitario regionale aiuto provvedendo a mandare a casa del paziente le varie componenti: il medico, l’infermiere, per tutti quegli aspetti di assistenza delicata, e anche un operatore che aiuti, per esempio, la mattina ad alzarsi e a mangiare, la sera ad andare a letto. Si tratta di cose che, all’apparenza, possono sembrare banali, ma in realtà per chi vive queste situazioni, possono diventare problemi insormontabili”.
In questo senso svolgono un ruolo decisivo le associazioni di supporto, nate per dare aiuto alle famiglie e formate per la maggior parte proprio da familiari di pazienti.
“A.I.M.A Onlus – spiega Orazio Lucà – è nata circa 10 anni fa proprio perché non c’era nessuno che dava risposte alla famiglia. Per i pazienti ci sono i medici, e dunque bene o male si può gestire. Ma è la famiglia che ha necessità di assistenza A.I.M.A si pone proprio l’obiettivo di aiutare in questo la famiglia con degli avvocati, con dei gruppi che servono esclusivamente ai familiari che hanno necessità di assistere e di comprendere, di capire la malattia. E’ importante sapere come rispondere al paziente che magari 2 minuti prima ti aveva salutato come figlio o come mamma e che poi non si ricorda più”.
Durante i lavori si è discusso di inquadramento diagnostico, delle possibili terapie, della stimolazione cognitiva, della qualità della vita e, come detto, del supporto alle famiglie. Fondamentale e complesso anche il ruolo del medico di famiglia.
“Un ruolo complesso – spiega Giuseppe Branciforte, medico di famiglia -perché abbiamo dei paletti che ci vengono posti sulla prescrizione dei farmaci. E’ compito nostro selezionare i pazienti quando vengono in studio con una sintomatologia che potrebbe essere ricondotta alla patologia. Dobbiamo intercettarli e studiarli, per poi affidarli ai centri di riferimento”.
Medico di famiglia, specialista e associazioni devono creare una rete che possa migliorare la qualità della vita dei pazienti. In Sicilia qualcosa si sta muovendo, ma ancora la strada è lunga.
“E’ un problema – dice Giuseppe Fichera, dirigente medico Asp Catania – che nasce perché a livello assessoriale non si è data una particolare attenzione. Forse non c’è stata la volontà di portare avanti un discorso di innovazione, anche per il fatto che probabilmente sono state scelte altre iniziative sanitarie. Tutto plausibile, ma è chiaro che se noi abbiamo la popolazione che invecchia presto quello della psichiatria geriatrica diventerà il primo problema da affrontare”.
Non ci sono solo note negative. A Catania, per esempio, va certamente menzionato il lavoro dell’Unità Operativa Semplice Dipartimentale Centro Alzheimer Psicogeriatria dell’Asp 3 diretta proprio dal dott. Mario Santagati.
“Si fa molto per questi malati – spiega Antonino Rapisarda, direttore sanitario Asp 3 – e metteremo i mezzi perché si faccia di più. Esistono dei contributi economici che vengono erogati costantemente a tutti coloro che ne fanno richiesta, ci sono dei centri nei quali vengono accolti e soprattutto c’è la capacità professionale delle persone che se ne occupano”.