CATANIA – Julio Velasco parla per ottantatré minuti filati e sono ottantatré minuti di talento, di carisma, di storia della pallavolo. Di storia dello sport, anzi, perché il leggendario allenatore della Nazionale italiana – ospite dell’Educational2 organizzato a Catania dalla Scuola di Pallavolo Anderlini con il patrocinio di Confcooperative Sicilia e Confcooperative Cultura Turismo e Sport – in quarant’anni tondi di carriera ha riempito un palmarès tra i più ricchi di sempre. Due ori mondiali, tre ori europei, cinque World League e varie altre cosucce. Non per nulla la sua fama ha valicato i confini del volley, portandolo a ruoli d’eccellenza anche nel calcio.
Oggi Velasco è direttore tecnico del settore giovanile della FIPAV, la Federazione Italiana Pallavolo. E comincia il suo intervento, nell’affollato salone dell’Hotel Sheraton di Aci Castello, smontando il luogo comune dei “giovani d’oggi”. “I giovani d’oggi non sono peggiori di quelli di ieri – spiega – e i giovani di domani non saranno peggiori di quelli di oggi. Perché non esistono tempi migliori e generazioni migliori. E’ vero, la nostra generazione aveva tanto entusiasmo e anni dopo siamo ancora qui a parlare di pallavolo. Ma forse oggi la mancanza di entusiasmo c’entra con la stanchezza, con la quantità di cose da fare, con la frequenza eccessiva degli allenamenti“.
Troppo facile prendersela con i ragazzi, insomma. Magari nascondendosi dietro un altro luogo comune, “vogliono tutto e subito”. “Questa non è una prerogativa delle nuove generazioni – dice Velasco – è sempre stato così. Dire che i giovani vogliono tutto e subito è un modo per evitare il problema. Per risolverlo, basta prendersi la responsabilità di non dar loro tutto e subito. Spesso siamo noi adulti ad essere troppo accondiscendenti, perché presi dalla fretta. Siamo noi che dobbiamo misurarci con la difficoltà di cambiare. E questo vale anche per le società sportive, che quando si accorgono che un ragazzo ha un minimo di talento lo sommergono e gli fanno perdere di vista passione e obbiettivi”.
Si tocca il tema delicato della gestione del talento. “Un giovane che fa due cosine va subito sui giornali, si innesca un meccanismo sbagliato e poi è facile perdere la testa. Non possiamo sorprenderci se il ragazzo smette di rendere. La verità è che dobbiamo guardare noi stessi, cambiare noi stessi, prima di pensare ai giovani”. E qui entra in scena il mister, il regista di tanti talenti: “La prima cosa che si aspettano è che non li giudichiamo. Che li critichiamo, sì, che li sproniamo, certo, ma che non li giudichiamo. Ciò che gli serve è la nostra fiducia, non le nostre critiche. E poi la nostra empatia. Il ragazzo ci deve piacere. Se non ci piace, siamo nei guai. E metteremo nei guai anche lui”.
E se non si tratta propriamente un fenomeno? Tanto meglio, sorride Velasco. “Io ho imparato di più quando ho allenato ragazzi meno bravi che grandi campioni – racconta – perché se uno ha talento e riesce a fare subito ciò che gli dico, non mi spinge ad applicarmi come allenatore. Se invece ha difficoltà, io devo mettermi in gioco e capire come aiutarlo. Come stimolare in lui l’intraprendenza, la volontà, il coraggio. Per questo non bisogna mai dire non sa farlo. Bisogna dire non sa farlo ancora. L’educazione, la pedagogia, la tecnica servono a riempire quell’ancora“.
Ma più di tutto, insiste Velasco, è importante confrontarsi con il gioco. “Se il linguaggio della matematica sono i numeri e il linguaggio della letteratura sono le parole, il linguaggio dell’educazione sono le immagini. Dobbiamo far vedere il gioco, vedere le azioni, vedere le partite. Vedere un campione della massima serie fare lo stesso errore che fa disperare noi. Soltanto così riusciremo a migliorare”. Il pubblico dello Sheraton applaude come si applaude solo il carisma, il talento, la storia della pallavolo. Che grazie alla Scuola Anderlini e a Confcooperative, oggi, è passata da Catania.