CATANIA – Il Teatro Vitaliano Brancati di Catania affida il debutto della sua XII Stagione alla commedia brillante Gli industriali del ficodindia, un grande classico interpretato dal maestro Tuccio Musumeci, beniamino del pubblico siciliano e ultimo rappresentante del teatro di tradizione. Prodotta dal Teatro della Città – Centro di Produzione Teatrale, la pièce andrà in scena da giovedì 24 ottobre (debutto ore 21) fino a domenica 10 novembre, secondo il consueto calendario del Brancati (17 repliche), inaugurando la stagione del Trentennale del Teatro della Città – Centro di Produzione Teatrale.
Al fianco di Tuccio Musumeci, che torna a interpretare il ragioniere Scillichenti, ci sono Sebastiano Tringali nei panni di Don Ferdinando Nuscarà, Margherita Mignemi in quelli della governante Antonia e tutta l’affiatata compagnia del Teatro della Città con Luca Fiorino (Ferdinando II), Lorenza Denaro (Sisina), Claudio Musumeci (Shannon, l’americano), Enrico Manna (Il turco), Santo Santonocito (L’avvocato). La regia è di Giuseppe Romani, scene e costumi di Giuseppe Andolfo, le musiche di Matteo Musumeci.
«La commedia di Massimo Simili – dice Tuccio Musumeci – fu scritta in pieno boom economico ma, per molti versi, rimane attualissima, perché purtroppo quell’imbroglio tessuto ai danni della Regione Siciliana potrebbe avvenire oggi, proprio nello stesso modo. La prima volta che tentammo di portarla in scena in Sicilia, negli anni ’60, non fu possibile perché risultava oltremodo oltraggioso. Oggi invece, purtroppo o per fortuna, degli imbrogli si ride».
La storia alla base della commedia si sviluppa da quella che il catanese Massimo Simili raccontò, all’inizio, nell’articolo “Il miracolo economico del cavaliere Nuscarà”. Era la vicenda vera, ma inverosimile, di un abile truffatore, un tizio che riusciva a farsi finanziare il progetto di spremere la buccia del pistacchio fresco per ottenere la “pistacchiola”, potente collante siciliano. Un’industria che, naturalmente, rimaneva sulla carta ma arricchiva l’industriale. L’articolo prospettava un caso limite talmente paradossale che in tanti proposero all’estensore di sviluppare l’argomento in un libro.
«Con l’aggiunta di altri episodi – diceva Simili – , e cambiando il pistacchio con qualcosa di più tipicamente isolano, scrissi Gli industriali del ficodindia… Nel fenomeno degli industriali del ficodindia, c’è un particolare importante: un imbroglio del genere presuppone degli approfittatori d’altissima classe che – chiamateli filibustieri, chiamateli figli di cane, chiamateli come volete – sono anche degli artisti, se è vero che l’arte è una cosa a sé, al di là del lecito e dell’illecito. Gente dalla quale bisogna tenersi alla larga, d’accordo, rifacendole tanto di cappello: la ricchezza d’immaginazione è un grandioso spettacolo».