Tanti sono convinti che San Cono sia un comune che gode di una notevole riuscita economica in particolare grazie alla coltivazione del fichidindia. Anche in qualche ricerca sul calatino si afferma che San Cono non debba essere considerato come comune economicamente depresso, fatto che invece colpisce San Michele di Ganzeria, Mirabella Imbaccari e altri comuni della zona. Ma questa valutazione corrisponde alla realtà effettiva o è solo parziale e anche falsante?
Se fosse vera la vera riuscita economica dovrebbe andare a beneficio della maggioranza della popolazione e dovrebbe quindi quantomeno limitare l’emigrazione di giovani e meno giovani. Invece, la realtà nuda e cruda ci dice che a San Cono solo una minoranza di imprenditori agricoli hanno effettivamente avuto una buona riuscita, sebbene con grandi difficoltà e sebbene per nulla stabile, nonostante abbiano ampliato in misura considerevole la loro proprietà e le terre coltivate anche in affitto. Allo stesso tempo c’è stato un aumento molte forte dell’emigrazione e in generale un declino demografico molto preoccupante.
Secondo i dati Istat, a fine 2018 i residenti a San Cono erano circa 2600 di cui quasi 300 immigrati stranieri. Si può stimare che altre circa 300 persone siano emigrate senza aver cambiato residenza mentre oltre 1900 persone risultano iscritte all’AIRE (anagrafe residenti all’estero). In altre parole, i residenti a San Cono stanno per diventare meno numerosi degli emigrati all’estero e in altri comuni d’Italia, notoriamente al Nord.
Come tutti sanno in paese, la maggioranza dei giovani tendono a emigrare. Secondo alcuni perché non vogliono fare i lavori pesanti o umilianti nelle piantagioni di fichidindia, anche se spesso finiscono per svolgere attività al semi-nero o al nero e altrettanto pesanti e umilianti al nord e all’estero. In realtà, l’economia del fichidindia sembra produrre poche occasioni di impiego accettabile. La maggioranza dei residenti è composta da pensionati e le persone che hanno oltre 65 anni sono più del doppio di quelli che hanno da zero a 14 anni; quest’anno a San Cono si arriverà a stento ad avere il numero sufficiente per costituire una prima elementare.
Allora perché ignorare gli emigrati e questo inquietante declino demografico? Perché gli stanziamenti europei per le zone depresse del calatino escludono San Cono poiché classificato come comune con buoni “parametri” economici? Sono corretti dei parametri che ignorano l’emigrazione? Non è forse vero che la riuscita economica di una minoranza di fatto corrisponde a questa amara conseguenza? Non è forse vero che il successo del fichidindia corrisponde a un’immigrazione solo in parte regolare, ma anche in parte assai irregolare cioè di ragazzi che lavorano al nero e magari vivono nei casolari in campagna in condizioni di indigenza e sono pagati con salari miserabili?
Se non si riconosce questa realtà così com’è San Cono è destinato sempre più a diventare un paesino in estinzione che sopravvive di una nicchia produttiva per buona parte grazie al lavoro nero di immigrati, in certi casi schiavizzati, nonostante la buona integrazione di altri grazie a una buona parte dei sanconesi.
Se si riconoscono gli aspetti negativi di questa realtà bisogna allora investire in una ricerca seria per pensare a cosa fare. Per esempio attività di trasformazione delle risorse naturali per produrre prodotti ecosostenibili e benefici per l’ecosistema, quali cosmetici naturali, prodotti biologici, e in particolare una diversificazione indispensabile per non far deteriorare l’ecosistema.
Bisogna incentivare i giovani a specializzarsi in scienze della terra, in biologia, in marketing, in un’agronomia che non sia finalizzata solo a una produttività per il profitto immediato, ma a un insieme di saperi e conoscenze che servano alla prosperità di tutti e alla posterità cioè al futuro.
La situazione di San Cono può essere considerata un caso estremo di questo paradosso che consiste in una riuscita economica di poco e di una quasi monocultura (anche a rischio di problemi per l’ecosistema). In realtà altri Comuni sono colpiti dallo stesso fenomeno in Sicilia e in tutt’Italia.
Negli ultimi 10 anni in tutt’Italia c’è diminuzione della popolazione residente; nel 2018 i residenti iscritti alle anagrafi dei comuni erano 60.359.546 residenti, di cui l’8,7% di cittadinanza straniera (5.255.503) (cfr. dati Istat 2019). Il calo della popolazione s’è configurato come declino demografico in particolare con l’aumento dei decessi rispetto alle nascite, fenomeno destinato ad aumentare sia per l’invecchiamento rilevante della popolazione sia per la diffusione di malattie da contaminazioni tossiche. La stessa immigrazione non compensa più il surplus di decessi.
In Sicilia si hanno oscillazioni poco rilevanti, ma c’era un aumento sino al 2013 (5.094.937) e poi una continua diminuzione sino a passare un po’ sotto i 5 milioni nel 2018. In realtà ci sono alcune provincie che aumentano, altre che hanno un andamento irregolare ma con scarse variazioni e altre che diminuiscono senza discontinuità. L’aumento di popolazione corrisponde alle note zone di produttività che si nutre spesso di immigrazione straniera o anche da altri Comuni puntando spesso sui bassi salari o sul lavoro nero.
In provincia di Ragusa si ha quasi sempre aumento costante da 295.246 nel 2001 a 321.370 nel 2017 (e piccola diminuzione nel 2018) e sono noti i casi estremi di neo-schiavitù. In provincia di Siracusa ha aumento quasi costante dal 2001 al 2014 (405.111) e poi leggera diminuzione sino al 2018 (399.224). In provincia di Palermo si ha la punta massima nel 2014 con 1.276.525 residenti e poi calo sino a 1.252.588 nel 2018. In provincia di Trapani si ha un aumento sino al 2010 (436.624) poi calo sino a 430.492 nel 2018.
Nella città metropolitana di Catania si tocca il massimo nel 2014 (con 1.116.917 di residenti) e poi si ha una leggera diminuzione sino a 1.107.702. In quella di Caltanissetta la punta massima si ha nel 2003 (275.908) e poi si ha una continua diminuzione sino a 62.458 nel 2018. Nella provincia di Agrigento si ha la punta massima nel 2003 con 456.818 e poi diminuzione sino a 434.870 nel 2018. Invece nella Città metropolitana di Enna si ha invece una continua diminuzione dal 2001 al 2018 (passando da 176.959 a 164.788). In provincia di Messina si ha una continua diminuzione da 661.708 nel 2001 a 626.876 nel 2018.
A Caltagirone si ha il massimo nel 2009 (39.610) e poi diminuzione sino a circa 37.8823 nel 2018. A Mirabella il massimo di residenti si ha nel 2013 (6.618) e poi diminuzione sino a 4.682 nel 2018. A San Michele di Ganzeria invece dal 2001 si ha diminuzione costante da quasi 5.000 a 3000. A San Cono il calo demografico è ancora più netto: dopo aver raggiunto il massimo storico nel 1991 (3780 residenti) c’è sempre diminuzione sino a 2.656 nel 2018.
Un dato indicativo riguarda l’evoluzione degli iscritti all’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero (AIRE) che per tutt’Italia (in migliaia/ INT00041_Anagrafe_Italiani_estero_AIRE_ed_2017.pdf): nel 2000 erano 2.353, nel 2005 erano 3.521, nel 2010: 4.115; nel 2016: 4.973.940. La Regione con il numero più elevato di iscritti all’Aire è la Sicilia (744.035), seguita dalla Campania (486.249), dalla Lombardia (449.503) e dal Lazio (441.741). Per San Cono sono oltre 1900 forse più di quanti sono i residenti effettivamente rimasti.
L’emigrazione italiana si concentra in prevalenza tra l’Europa (2.685.813) e l’America (2.010.130). Il Paese dove si registra la più alta presenza di italiani è l’Argentina con 804.261 iscritti, segue la Germania (723.691) e la Svizzera (606.949).
Per quanto riguarda l’età̀, il maggior numero di iscritti all’AIRE è tra 35 e 44 anni che è di 787.332 (15,8%), di cui 427.750 maschi e 359.582 donne.
Gli stranieri residenti in Sicilia al 1° gennaio 2018 sono 193.014 e rappresentano il 3,8% della popolazione residente. I più numerosi sono i provenienti dalla Romania (il 29,5% di tutti gli stranieri presenti sul territorio, seguiti dai tunisini (10,5%) e dai marocchini (7,8%), 7% dallo Sri-Lanka, 4,5 dall’Albania, 4,3% dal Bangladesh e 3,9 dalla Cina popolare.
Da questi dati appare evidente che se si volesse programmare un risanamento dell’economia occorrerebbe puntare sulla regolarizzazione di datori di lavoro e lavoratori italiani e stranieri.