Il vecchietto di FaceApp e quel fascino "perturbante" della morte

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Da qualche giorno Facebook è invaso da foto ritoccate che ritraggono persone anziane, ovvero l’immagine del profilo come potrebbe apparire in versione “vecchietto/a felice”, il tutto grazie al notissimo programma FaceApp. Una mania alla quale nessuno sembra resistere. E così, spinto dalla curiosità, ognuno mette la propria foto nell’applicazione, per vedere la propria immagine come potrebbe essere da anziano, per poi postarla dandola così in pasto a commenti scherzosi di ogni genere.

Una trovata geniale, direte, ma che di geniale e di nuovo non ha forse nulla. Quello che avviene con FaceApp è qualcosa di arcaico, e suscita questo interesse planetario per il semplice fatto che quest’applicazione sia riuscita con grande astuzia pubblicitaria a “perturbare” la gente. Faccio questa considerazione perché nell’epoca in cui viviamo, caratterizzata dall’esaltazione di un’eterna giovinezza, dall’assenza totale di limiti, dove tutti dobbiamo apparire belli, palestrati, tatuati, ed eternamente giovani – un’oasi di giovinezza che grazie ai miracoli della cosmetica e della chirurgia plastica sembra assumere nella nostra mente una situazione ideale che non può accettare la parola fine –  all’improvviso invece, ecco che il social per eccellenza, che fa da riflesso a questi valori propinati, si riempie di foto ritoccate che ci mostrano come saremo da “vecchi”, riscontrando un successo senza precedenti.

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Vediamo allora di capire cosa ci perturba in tutto questo giochetto innocuo, e per farlo, scomodiamo il nostro Freud, secondo il quale, “il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”. Generalmente per la psicoanalisi potremmo essere perturbati da tantissime cose che hanno a che fare con i nostri complessi infantili irrisolti, con il complesso di evirazione, o anche da fantasie che ci riportano al grembo materno etcc… Ma ritornando a FaceApp, potrebbe invece richiamare in mente quel “perturbante” che arriva nel vedere l’immagine di un “sosia”, dove l’identificazione con un’altra persona mette in dubbio il proprio Io sostituendolo con l’Io di un estraneo, nell’immagine del sosia si assiste contemporaneamente ad un raddoppiamento dell’Io, ad una suddivisione dell’Io ed a uno scambio dell’Io.

Nella sua opera, Freud sosteneva che “il sosia era in origine un’assicurazione contro la scomparsa dell’Io, una energica smentita del potere della morte”, quindi quello che avviene con FaceApp potrebbe anche rappresentare quella “creazione di un simile doppione, come difesa dall’annientamento”. Ovviamente tutto questo meccanismo va a nozze con la nostra società attuale (ipertecnologica, narcisistica, ultracapitalistica e individualistica), e così, FaceApp potrebbe richiamare quelle rappresentazioni sorte sul terreno dell’amore illimitato per se stessi, e nel mostrare l’immagine della vecchiaia, da assicuratore di sopravvivenza, diventa invece un perturbante precursore di morte, captando nella figura dell’anziano innocuo, quello che ci perturba e che è legato alla morte. Per concludere lascio il lettore con questa immagine descritta appunto da Freud nell’opera in questione (Il Perturbante, p. 302):

“Posso raccontare a mia volta un’avventura simile. Ero seduto, solo, nello scompartimento del vagone-letto quando per una scossa più violenta del treno la porta che dava sulla toeletta attigua si apri e un signore piuttosto anziano, in veste da camera, con un berretto da viaggio in testa, entrò nel mio scompartimento. Supposi che avesse sbagliato direzione nel venir via dal gabinetto, che si trovava tra i due scompartimenti, e che fosse entrato da me per errore; mi precipitai a spiegarglielo ma mi accorsi subito, con mia estrema confusione, che l’intruso era la mia stessa immagine riflessa dallo specchio fissato sulla porta di comunicazione. Ricordo tuttora che l’apparizione mi piacque pochissimo. Anziché spaventarci alla vista del nostro sosia, quindi, tanto Mach che io non lo avevamo riconosciuto. Che la brutta impressione che ne ebbimo non fosse un residuo di quella reazione arcaica che percepisce il sosia come un che di perturbante.

Silvestro Lo Cascio, psicologo e psicoterapeuta, mail: siloc14@yahoo.it

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