Sono passati già cinquantuno anni dal Maggio francese, e l’Università ritorna ancora ad essere al centro di polemiche e inchieste giudiziarie: parenti, amici, figli, conoscenti, figli di amici degli amici ecc..
Tutto ruota attorno a nomi importanti, che potrebbero essere descritti come l’Altro dell’Università, l’Altro della Politica, l’Altro della Religione ecc…, che avrebbero deciso chi e come far entrare nei concorsi, accrescendo così sempre di più il loro potere e il loro Comando, che non ha nulla a che vedere con il Sapere dell’Università. E dove lo studente diventa un semplice strumento di questo ingranaggio perverso.
Tutto questo a discapito di tantissimi giovani che accettano ormai passivamente questa triste realtà, consolandosi con un qualunquismo del tipo “è sempre stato così”, “nulla di nuovo”, “se non sei raccomandato non entri da nessuna parte”. Ovviamente non voglio entrare nel merito giudiziario del fatto di cronaca, ma voglio però soffermarmi su alcune dinamiche. Ritornando al Maggio parigino, e parafrasando Lacan, la difficoltà di rapporti tra sapere e desiderio trovano uno sfogo nel “reale” sotto forma del “sanpietrino” (pietre a forma di cubo che pavimentano le strade).
Ovvero, quando il sapere non è riconosciuto dall’Altro, ma messo a tacere con i lacrimogeni, genera e innesca la lotta, ed ecco che il sanpietrino viene scaraventato contro l’Altro che opprime e reprime. A fare da pilastro alle lotte studentesche dell’epoca, c’erano un “sentimento di comunità assoluta”, e una “prospettiva storica” che spingevano gli studenti a difendere con la lotta la loro Ideologia.
Quello che invece avviene oggi, a mio modo di vedere, e come già scritto in precedenza, è una totale rassegnazione da parte degli studenti, che genera soltanto una passivazione nel subire questi giochi di potere. Una rassegnazione che sfocia nell’indifferenza tipica dei giorni nostri ai problemi che investono la società. Una società post-moderna e post-ideologica, dove spesso l’Io diventa un Dio che tutto può fare.