“Gli scandali veramente ingenui che periodicamente colpiscono l’opinione pubblica nascondono in realtà una struttura dei giochi che, essendo basata sul meccanismo elettorale, inevitabilmente porta alla creazione di cordate e al sistematico voto di scambio”. (Stefano Zan)
di Gabriele Pocina
È forte l’indignazione che si va alimentando man mano che la notizia dell’operazione “Università bandita” si diffonde via social, nelle chat e sui gruppi. Un sistema universitario corrotto, il Rettore e diversi professori denunciati per associazione a delinquere finalizzata ad alterare il naturale esito dei bandi di concorso.
Eppure non si tratta di niente di nuovo. Una spiegazione di quanto è accaduto, non a livello giudiziario ma di sistema, la troviamo nella lettura de Le organizzazioni complesse. Logiche d’azione dei sistemi a legame debole di Stefano Zan, già Direttore del Dipartimento di Politica, Istituzioni e Storia dell’Università di Bologna, da cui è tratto il passaggio citato in apertura.
In questo volume, nel paragrafo dedicato alle Università, Zan parla di come i sistemi complessi, come appunto i grandi Atenei, siano costituiti da “attori” che si scambiano una pluralità di “giochi” di livello locale o nazionale.
“I giochi si fanno sostanzialmente a cascata – scrive l’autore – dal Consiglio di Amministrazione alle Facoltà, ai Dipartimenti, ai gruppi, ai singoli. Quelli che più contano in queste partite sono le Facoltà e i Dipartimenti più ‘pesanti’, quelli che hanno contribuito in maniera esplicita all’elezione del Rettore, quelli che hanno loro uomini in giunta o in consiglio d’amministrazione, nonché quelli che hanno buoni rapporti con i vertici del personale amministrativo, ma quasi tutti i giochi di allocazione delle risorse si basano essenzialmente su dinamiche cristallizzatesi nel tempo, che hanno definito parametri di redistribuzione in linea di massima accettati da tutti gli attori collettivi”.
Oltre alla struttura su cui si fondano i giochi è importante analizzare come questa struttura sia radicata e si sviluppi nel tempo.
“È del tutto inusuale una redistribuzione delle risorse che prescinda dal dato storico (path dependence) – prosegue Zan – perché i decisori sono comunque i rappresentanti di chi da sempre opera nell’università e non ha alcuna voglia di cambiamenti radicali”.
Il professore pone anche l’attenzione sui “maggiorenti” e sui Direttori di Dipartimento, i quali sono di fatto gli unici attori a giocare su certi tavoli per la distribuzione delle risorse. Non è un caso che alcune figure apicali siano protagoniste dell’indagine di oggi.
Ma chi sono tecnicamente i “maggiorenti”? Zan risponde che sono “coloro che per varie ragioni sono in grado di controllare voti, nei dipartimenti, nelle facoltà e nelle varie elezioni, sopratutto perché sono contemporaneamente in grado, il più delle volte, di pesare anche nei giochi nazionali e cioè nei concorsi”.
Insomma, quei professori dai quali dipende la scelta e la selezione degli altri. Il cui ruolo emergerebbe anche in questa inchiesta, dove vi sono alcuni soggetti che sfruttano e traggono vantaggi ed altri che appaiono soggiogati dal gioco di potere che diventa – come evidenzia bene uno dei professori intercettati – una finta democrazia. Cosa avviene dunque nei concorsi?
“I giochi che si fanno con i concorsi e che tanto incidono sulla vita personale dei singoli – si legge ancora ne Le organizzazioni complesse – non sono svolti dai candidati rispetto al loro merito individuale acclarato dalle prove di concorso, ma sono invece giochi di cordata che, sulla base degli accordi, fanno passare i candidati fedeli appartenenti alla cordata stessa. Il merito scientifico del candidato è solo relativamente importante. Certo, per tutti è più facile far vincere uno bravo piuttosto che un incapace, ma se questi appartiene ad una cordata importante passa comunque, mentre quello bravo che appartiene a nessuna cordata non passa”.
Non bisogna dunque indignarsi e gridare allo scandalo, ma lavorare sugli strumenti che alimenterebbero i giochi di potere, dilettantismo, autoritarismo, mancata trasparenza.
“Tutti i concorsi sono gestiti in questo modo – spiega infatti Zan – la vera e unica differenza è la serietà dei raggruppamenti disciplinari e quella dei capiscuola o capi bastone. Raggruppamenti seri e coesi fanno del vero e proprio career planning, decidendo con largo anticipo il percorso che seguiranno i giovani, i tempi e i modi della loro promozione, governando i concorsi attraverso il governo delle nomine tra i commissari e gli accordi tra più cordate”.
Tutto ciò produce un’allocazione delle risorse scarsa, motivo per cui nel ranking universitario risultiamo “a terra”. E il danno più grosso, come spiega Zan, non è quello economico e nel breve periodo, bensì il danno causato in termini qualitativi alle Università e alla comunità scientifica di un Ateneo.
Certo rimane tanta amarezza. Come faranno questi docenti, un domani, a fare un discorso sulla buona amministrazione, sulla giustizia, sull’etica e sull’esercizio dei propri doveri, come potranno incrociare gli sguardi dei loro alunni senza provare vergogna? Loro che dovrebbero lavorare per costruire la “struttura rigida” dei nuovi accademici, dei professionisti e della classe dirigente di domani, loro che dovrebbero indirizzare nel verso giusto gli studenti. Che peso avranno le parole di queste persone – se venissero confermate le loro responsabilità – una volta tornati alle loro cattedre e ai loro uffici?
Alla Magistratura catanese guidata dal dottor Carmelo Zuccaro va un plauso, come tante volte negli ultimi tre anni, per aver portato alla luce l’ennesimo altarino del nostro territorio – l’ennesimo che coinvolge dei colletti bianchi – senza timori reverenziali e lavorando trasversalmente per scovare le sacche di illegalità. Di questo c’è grande bisogno.