Dissesto, l'appello della Cooperativa Marianella Garçia: "Il Comune non ci lasci morire per troppi crediti"

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CATANIA – Una storia lunga oltre trent’anni, che si trova di fronte ad un bivio: provare a lottare per i propri diritti o chiudere bottega consegnandosi alla rabbia e alla rassegnazione. I soci della Cooperativa Marianella Garçia, che dal 1986 si occupa di servizi sociali ed educativi nel territorio catanese, hanno scelto la prima strada. Ed oggi pomeriggio si riuniranno presso la sede di Monte Palma per fare il punto su una situazione divenuta insostenibile. Sul tavolo, tanto per cambiare, i ritardi nei pagamenti da parte del Comune di Catania, nel quadro di un dissesto finanziario che rischia di pregiudicare tutto il sistema del welfare. 

A spiegarlo ai microfoni di Hashtag Sicilia è il presidente della cooperativa Giuseppe Scionti. “In tanti anni di lavoro non ci era mai capitata una situazione del genere – dice – le famose vicende del Comune ci stanno mettendo in ginocchio, stiamo rischiando di morire per eccesso di credito verso la Pubblica Amministrazione. Vantiamo stipendi per dodici mesi, per un credito complessivo di circa 900mila euro, di cui 599mila coperti da decreti ingiuntivi esecutivi del Tribunale di Catania”. Somme che dovrebbero essere liquidate, chiarisce il presidente, ma che rimangono incastrate tra le maglie di una burocrazia ulteriormente complicata dal dissesto.

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“Questi 600mila euro sono stati già certificati dai Commissari – prosegue Scionti – per il resto si tratta di servizi che stiamo attualmente gestendo, ma che malgrado dipendano da fondi vincolati, come la Legge 285, non vengono pagati per problemi burocratici e procedurali. Da dicembre 2018 non riceviamo pagamenti. Il problema è che intanto dobbiamo continuare a portare avanti il servizio e a pagare le tasse. Perciò chiediamo che si trovi il modo di pagare perlomeno il servizio corrente. Perché questo eccesso di burocrazia che ci sta stroncando”.

A rendere paradossale la situazione il fatto che i servizi non siano mai stati sospesi. “Le nostre attività non dipendono da fondi comunali, quindi la cooperativa non è stata interessata dalla sospensione delle scorse settimane – chiarisce Scionti – Noi continuiamo a lavorare, giorno dopo giorno, ma i pagamenti non arrivano”. Da qui la richiesta nei confronti dell’Amministrazione di snellire le procedure e accelerare i tempi, per evitare che salti il sistema del welfare. Perché la situazione non riguarda soltanto la Marianella Garçia, ma tante cooperative che gestiscono servizi assistenziali a Catania.

E che spesso agiscono nelle realtà più difficili, fungendo da presidio sociale e di legalità. “Lavoriamo nelle scuole, abbiamo una comunità per minori e due centri aggregativi a San Giovanni Galermo e a Monte Po-Nesima – sottolinea Scionti – siamo trentasette persone che forniscono servizi aggiudicati con regolari gare e contratti con l’Ente pubblico, che però non paga. E adesso rischiamo di chiudere perché non abbiamo soldi per pagare la luce, le tasse e i dipendenti. Avessimo avuto problemi di debiti sarebbe stato comprensibile. Invece è esattamente il contrario”. 

In questo modo non si vive, chiarisce il presidente della cooperativa. “I nostri operatori stanno soffrendo moltissimo, a qualcuno abbiamo dovuto pagare le bollette perché non ci arrivava più – dice ancora il presidente – ognuno di noi ha spese, mutui e situazioni personali a cui non riusce più a far fronte. Abbiamo saputo che in questi giorni sarà pagato qualcosa dai residui 2018, ma si tratta di poco più di 40mila euro. A stento prenderemo uno stipendio. La situazione è talmente drammatica che molti stano pensando di lasciare. Ed è tutto personale qualificato, psicologi, educatori, assistenti sociali”.

“Uno di loro sta andando a Roma per tentare il concorso per navigator – conclude amaramente Scionti – Cioè per aiutare gli altri a trovare un lavoro in Sicilia, dopo essere stato costretto a lasciare il proprio. Se non fosse una situazione drammatica ci sarebbe da ridere. Ma noi non smetteremo di lottare e di chiedere all’Ente di riconoscere i nostri diritti”.

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