Dopo la prima puntata, con l’intervista al campione degli anni Settanta ed attuale responsabile della Scuola di Pallavolo Anderlini Rodolfo “Giobbe” Giovenzana, continua la nostra inchiesta sul mondo sello sport agonistico giovanile. Un sistema che ha una grandissima importanza in termini di educazione e formazione alla vita per tantissimi ragazzi, ai quali deve saper trasmettere valori e obiettivi prima ancora che tecnica e preparazione fisica, dando ovviamente queste ultime per scontate. Ed in tanti casi è sicuramente così. Ma è sempre così?
Oppure, come spesso accade nella vita, si può correre il rischio che gli obiettivi prioritari di formazione del giovane si perdano per fare spazio ad altri interessi, come quelli economici o di consenso? Come funziona e come opera il sistema chiamato a vigilare e a tutelare i ragazzi? Nelle prossime settimane intendiamo porre queste domande ad alcuni responsabili di società sportive dilettantistiche ed ai vertici delle Federazioni di settore, che sono le Istituzioni che regolano il funzionamento dello sport dilettantistico. Perché, oggettivamente, alcuni dubbi sorgono legittimi, e si rafforzano raccogliendo gli umori di atleti e genitori.
Ad esempio: quanti sanno che al compiere dei 14 anni il vincolo di tesseramento di un atleta con la società con la quale si allena si cristallizza per 10 anni, fino al compimento cioè del ventiquattresimo anno di età? Il genitore, che non pensa certo a cavilli legali quando iscrive il proprio figlio ad una società sportiva, viene informato adeguatamente in merito al vincolo che sta per contrarre? Come viene raccolta la firma? Quanti sanno che per ottenere lo svincolo bisognerà pagare? E quando, dopo averlo scoperto perché magari il proprio figlio vorrebbe giocare con l’amichetto del cuore in un’altra società, il genitore chiede lo svincolo, come viene effettuata la valutazione del “prezzo” relativo?
C’è il rischio che, giocando sulla naturale volontà del genitore di rispondere alla richiesta del figlio, si speculi un po’ sul valore effettivo di un atleta? C’è il rischio che si inneschi un meccanismo che trasforma un allenatore in imprenditore-allenatore? Anche perché, se si fanno due conti, il mondo dello sport dilettantistico non è poi così “volontaristico”. Mettiamo il caso di una società che abbia 400 tesserati dai 10 ai 18 anni. Se ciascun tesserato corrisponde una quota annua di iscrizione di 500 euro (circa 40 euro al mese) si ha un ricavo di circa 200.000 euro l’anno. Ai quali si aggiungono i valori della “vendita” del cartellino in caso di richiesta di trasferimento. Un budget comunque significativo. Come vengono dichiarati questi incassi? Come vengono pagati gli allenatori? Domande che crediamo siano legittime.
Ancor di più se capita che il progetto di formazione alla vita e trasmissione di valori dal quale siamo partiti all’inizio dell’articolo non costituisca priorità per la società, ma che addirittura neanche il progetto di crescita sportiva sia assicurato. Qual è il sistema di vigilanza adottato per verificare, ad esempio, se sia ragionevole il numero di allenamenti effettuati in rapporto al numero di partite giocate settimanalmente dagli atleti? Oppure sulla effettiva presenza in campo e in allenamento di allenatori e dirigenti adeguatamente formati, e sul complessivo impegno delle società nel processo di crescita degli atleti? Noi crediamo che sia necessario approfondire questi temi.
Nelle prossime puntate dell’inchiesta proveremo a sentire il punto di vista delle Federazioni e delle società. Perché crediamo sia giusto offrire un’informazione adeguata a quanti si avvicinino a questo mondo accompagnandovi i propri figli. Perché crediamo sia giusto permettere di compiere scelte che valorizzino le società più virtuose, quelle che – nel giusto interesse della propria sostenibilità economica – pongano comunque al centro del proprio progetto l’interesse dei ragazzi, visti come futuri uomini e donne con il proprio bagaglio di valori. E siamo certi che queste società siano la maggioranza, nelle diverse discipline sportive.