CATANIA – E’ stato presentato oggi pomeriggio al Palazzo della Cultura di Catania “Il padrino dell’Antimafia”, Edizioni Zolfo, il volume del giornalista Attilio Bolzoni sul cosidetto “sistema Montante”. Una vicenda, quella dell‘ex Presidente di Confindustria Sicilia, condannato in primo grado a 14 anni per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo a sistema informatico, che non cessa di fare discutere. E ad interrogare sulle zone grigie che si aprono nel confine apparentemente netto tra mafia e antimafia.
A discutere con Bolzoni il Sottosegretario agli Interni Luigi Gaetti, il Procuratore di Catania Carmelo Zuccaro e il Presidente dell’Associazione antimafia ASAEC Nicola Grassi. A moderare il dibattito il giornalista de La Sicilia Mario Barresi: “Tutti noi dobbiamo un ringraziamento a Bolzoni – ha detto Barresi aprendo l’incontro – perché ha avuto il coraggio, in un contesto molto complicato, di scrivere un libro che rappresenta uno spartiacque in questa vicenda”.
Sin dal 2015, ricorda Barresi, Bolzoni aveva acceso i fari sul “padrino dell’Antimafia”. Quattro anni dopo è arrivata una sentenza di primo grado del Tribunale di Caltanissetta per l’ex presidente di Sicindustria. Ma la parola fine è ben lungi dall’essere scritta, mentre restano tante le domande senza risposta. Nel suo libro la penna de La Repubblica ne rilancia alcune: “Chi era davvero Antonello Montante? Solo il prestanome di un sistema imprenditoriale criminale? Il pezzo ‘difettoso’ di una perfetta macchina dì potere? Un pupo o un puparo?”
Bolzoni cerca di rispondere da una prospettiva storica. “Ho pensato a questa vicenda inquadrandola nel contesto del dopo-stragi – ha detto il giornalista prendendo la parola – La linea di demarcazione è l’arresto, nel 2006, di Bernardo Provenzano. Da quel momento qualcosa cambia. La mafia non si è sommersa, come si è detto, ma si è riappropriata della sua vera natura”. Soltanto un’anomalia, dunque, quella dei corleonesi. Dopo la quale la mafia smette di sparare, di far esplodere bombe, di versare il sangue di servitori dello Stato. Per tornare a fare affari, ad insinuarsi nei grandi appalti, a cercare di spartirsi la torta.
“Da quel momento ho ricominciato a pensare alle ‘mafie incensurate’ – ha proseguito Bolzoni – la vecchia scena dei colletti bianchi che baciano la mano al padrino vecchio stile, alla Genco Russo, l’ho rivista quarant’anni dopo in un contesto diverso. Con la differenza che oggi, grazie al lavoro di uomini come Giovanni Falcone e i suoi collaboratori, dovremmo avere tutti gli strumenti per riconoscere certi travestimenti”. Quella lezione, suggerisce il giornalista, non è stata imparata a dovere. E le burrascose vicende dell’antimafia siciliana lo dimostrano, tra silenzi, mezze verità e persino “talpe”, anche ai massimi livelli.
A tornare sulla linea di demarcazione tra mafia e antimafia è il Procuratore Zuccaro: “L’ipotesi di reato che vede Montante rispondere di concorso esterno non ha avuto ancora riscontro nelle decisioni di un giudice – ha ricordato il Procuratore – Ma a prescindere dalla risposta che verrà data non c’è dubbio che la sentenza di primo grado abbia accertato l’esistenza di un sistema implicitamente mafioso, anche se non si può definire giudiziariamente mafioso. Un sistema criminale organizzato nel quale infiltrazioni mafiose si sono verificate”.
“C’è un’antimafia che è stata infiltrata e un’antimafia che, senza esserlo, ha commesso errori di valutazione – ha detto ancora il capo della Procura catanese – Anche la Magistratura deve fare moltissimi mea culpa. Montante andava a braccetto con molti magistrati. In alcuni di loro è mancata l’idea che si lavori lealmente con tutte le istituzioni, ma che non si possa andare ai pranzi né partecipare a serate di gala. Bisogna mantenere uno stile quanto più possibile sobrio, per non dare adito a nessun sospetto e non far venire meno la fiducia dei cittadini”.
E’ il turno del Presidente dell’associazione Asaec Nicola Grassi: “Proviamo un certo imbarazzo a leggere titoli come quello del libro di Bolzoni – ha detto Grassi – quello di Montante era un meccanismo sapientemente oleato, che rappresenta la patologia di un fenomeno molto grave: la profonda crisi che il movimento antimafia sta vivendo in questo momento storico. L’antimafia è stata attraversata da un enorme fiume di denaro che ha incentivato la nascita di sportelli anti-racket, senza che parallelamente crescessero le denunce. Un segnale che, evidentemente, qualcosa non va”.
Una sensazione aggravata anche da alcuni silenzi importanti. “Da parte di alcune associazioni antimafia, come la FAI e Libera, all’indomani della condanna, non ci sono stati commenti – ha ribadito il presidente di ASAEC – bisognerebbe avere il coraggio di ammettere che si è sbagliato, per rifondare questo movimento. È invece è proprio questo che si fatica a fare”. È Bolzoni a far notare che né Libera né Don Ciotti – come del resto lo stesso Ministero dell’Interno – si sono costituite parti civili nel processo contro Montante.
Come anche clamoroso, sottolinea il giornalista, è il silenzio degli intellettuali su tutta la storia. Un silenzio che ha contribuito ad infittire le nebbie su uno dei casi più clamorosi degli ultimi anni. Nebbie che grazie al lavoro della Magistratura iniziano a rischiararsi. Ma passerà ancora molto tempo prima che sul cielo dell’antimafia torni a splendere il sole.