MILANO – E’ uno degli ospiti del prestigioso Salone del Mobile di Milano, dove domani interverrà sul tema del “consumo collaborativo” presso la Fondazione Riccardo Catella in occasione degli ICON DESIGN TALKS 2019. “E’ il futuro della città moderna”, riassume l’architetto Giancarlo Leone ai microfoni di Hashtag Sicilia. Catanese, erede di una dinastia di professionisti che ha dato lustro alla città – il padre Rosario fu a lungo preside dell’Istituto d’Arte, nonché presidente dell’Ordine degli Architetti etneo – oggi Leone vive tra Catania e Milano e si occupa di progettazione, restauro architettonico e design. “Guardo le città cercando di intervenire quando i processi evolutivi lo consentono”, dirà di se stesso nel corso di questa intervista.
Intanto domani racconterà alla platea degli IDT 2019 un nuovo modello di gestione di beni e servizi. “Il consumo collaborativo è sostenibilità e condivisione – spiega – sempre qui torniamo: alla condivisione. Una persona non può essere felice se circondata da persone infelici. Se si impara a condividere, tutti si crescerà insieme verso la felicità. E le periferie non saranno più periferie”. Già, le periferie. Quelle che a Catania (ma anche a Roma, a Bergamo, ovunque nel nostro Paese) preoccupano a corrente alternata l’opinione pubblica, specialmente quando qualche arresto ci ricorda – come se non lo sapessimo benissimo – che quei palazzoni sono centrali di stoccaggio di droga, degrado, disagio.
Da noi il pensiero va subito a Librino, o ai grigi caseggiati di San Giovanni Galermo o Monte Po. L’architetto Leone punta lo sguardo più lontano, di là dall’amata provincia: “Pensiamo al Corviale, periferia a sud-ovest di Roma, l’immenso complesso residenziale lungo 958 metri ed alto 34 progettato negli anni Settanta dall’architetto Mario Fiorentino – dice – il soprannome Serpentone ben sintetizza il fallimento urbanistico delle città, in cui le periferie furono concepite come mura medioevali per separarle dal territorio in cui si erano insediate. Sono state create delle barriere a chiusura del contesto circostante, per fare non delle città, ma delle roccaforti di presunta civiltà”.
Dei muri alzati nel nulla ed esclusi da tutto, dunque. “Questo ha fatto sì che gli abitanti crescessero tra ‘due nulla’ – prosegue l’architetto – con tutto ciò che ne consegue: marginalità, irriconoscibilità, abbandono. Questo ha contribuito a far nascere il disagio sociale, manifestato in più modi. Ecco, io credo invece che le periferie dovrebbero essere un tramite, un ponte levatoio tra città e territorio, tra il Centro Urbano e il suo intorno. Così gli abitanti delle periferie avrebbero la grande responsabilità di essere i fautori ed i protagonisti della ‘restituzione’ del territorio alla città, e della città ai cittadini”.
Dei ponti, appunto, tra la realtà urbana e quella non urbana. “Di nuovo, dobbiamo pensare ad una forma di condivisione, in cui non prevale la competitività (ormai dimostratasi fallimentare) ma appunto il condividere. Ognuno ha capacità, potenzialità da mettere a disposizione della collettività”. Certo per fare questo servirebbe un grosso investimento, non soltanto in termini economici ma di rieducazione alla bellezza. “Questa però non deve restare soltanto una parola – avverte l’architetto – la bellezza non è una cosa meramente materiale, è ciò che ispira gioia, che rende felici. La vita dovrebbe ispirare gioia e felicità anche in periferia. Pertanto ben vengano i bei palazzi, ma con una funzione urbanistica ed urbana integrata, ben chiara e funzionale”.
Altre soluzioni, come il progetto “Restart Scampia” che nei prossimi anni porterà all’abbattimento delle famose “Vele”, convincono solo fino ad un certo punto. “Non credo che abbattere le ‘Vele’ e farne edifici per uffici risolva il problema, se non si da una nuova funzione a chi vi abita – spiega Leone – Forse ci sarà più controllo, ma a mio avviso non si risolverà il problema. Penso che il discorso di riqualificazione delle periferie debba essere fatto in una visione più ampia, guardando all’attuale fallimento urbanistico delle città. E’ il sistema che va affrontato e cambiato, affinché la città diventi sinonimo di condivisione, anche con il territorio circostante”.
Certo oggi immaginare questo futuro non è semplice. Anche a Catania, dove la frattura tra “centro” e periferie si fa sempre più evidente. L’architetto Leone mostra un vecchio ritaglio de La Sicilia, datato 23 settembre 1970. “In questa foto si vede l’architetto Kenzo Tange accolto all’Aereoporto Fontanarossa da Raffaele Leone, mio nonno – racconta – che insieme a mio padre e all’Amministrazione di allora aveva individuato Tange come progettista del masterplan per la nuova città satellite di nome Librino. Io credo che le visioni di Tange fossero all’avanguardia, ma forse non per la Sicilia…”.
“Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono – cita a memoria l’architetto Leone – ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali… In merito al futuro di Librino, leggo che alcuni privati stanno facendo un bel lavoro: forse, partendo dal basso, qualcosa cambierà”.