Per risparmiare qualche decina di euro, raggiungo Valparaiso con un autobus della Turistour, il cui itinerario prevede una sosta di tre ore a Vina del Mar, una località che ha tante analogie con Sanremo: è denominata città giardino e dei fiori; da sessant’anni ospita il Festival Internacional della Cancion a cui partecipano artisti provenienti da tutto il mondo; ha un Casinò municipale ed è una importante località turistica dove la buona società cilena va a svernare nei mesi caldi.
Di questo posto mi affascinano l’orologio dei fiori – un’icona della città – il lungomare con le sue spiagge di sabbia bianca e di rocce, su cui sono appollaiati centinaia di pellicani peruviani, i tantissimi grattacieli che guardano l’Oceano Pacifico, i ristoranti e le boutique alla moda; mi inquieta, invece, il tram verticale che dal mare si arrampica sui palazzoni posti in cima alla collina.
Quando arrivo al ristorante il “capo ciurma” mi sistema nell’unico tavolo dove c’è ancora un posto libero. I miei commensali sono una coppia di giovani sposi americani e una signora australiana che – con mia grande sorpresa – mastica un discreto italiano. I due giovani si tuffano in una fitta discussione, ignorando completamente la nostra presenza. Questo mi costringe a superare la mia proverbiale ritrosia ad attaccare bottone con persone sconosciute; mi presento e chiedo alla mia compagna di tavolo la ragione della sua presenza in Cile. Amalia, questo il suo nome, ha lontane origini italiane (i nonni partirono da Lipari e arrivarono a Sidney alla fine degli anni Quaranta), è una ricercatrice ed è nel Paese andino per uno studio sui Mapuche, il Popolo della Terra.
Questa “rivelazione“ mi riporta indietro con la memoria a un anno prima, alla visita di Papa Bergoglio in Cile, quando restai senza risposta davanti a due notizie tra loro contraddittorie: le contestazioni di 30 dirigenti Mapuche alla visita del Papa e la presenza di alcuni artisti Mapuche nel gruppo musicale che diede il benvenuto al Pontefice. Mi dice che non c’è nessuna contraddizione, perché quella contestazione non era contro il Papa ma soltanto un modo – certamente discutibile – per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, sulle tante ingiustizie compiute ai loro danni e sulla repressione che – sostiene – ha raggiunto il suo picco con l’uccisione di Camilo Catrillanca, nipote di Juan Segundo Catrillanca, guida della comunità di Temucuicui e figlio di uno storico attivista.
Camilo fu ammazzato a 24 anni, a sangue freddo, colpito da sette fucilate, sei alle spalle e una alla testa, mentre si trovava alla guida di un trattore. Chiedo se queste ingiustizie e la repressione siano in qualche modo legate all’avvento e alle scelte politiche del nuovo Presidente Sebastián Piñera, il Berlusconi in salsa cilena che ha sconfitto la socialista Michelle Bachelet. Amalia dopo una lunga pausa mi guarda negli occhi, fa un lungo respiro e dice: “I Mapuche sono un popolo da sempre discriminato, oppresso e depredato dalle loro terre fin dai tempi degli Inca, poi dai colonizzatori spagnoli perché si schierarono a fianco dei coloni e dal regime di Pinochet. Il conflitto tra le comunità Mapuche presenti in Cile e Argentina si è acuito ulteriormente con il ritorno al potere in questi Paesi delle forze legate ai grandi potentati economici e alle grandi famiglie che hanno in mano settori fondamentali e strategici”.
Ribatto dicendo che ho letto da qualche parte che il Presidente del Cile ha aperto le basi per il dialogo. “E’ vero, ma le proposte non sono state ritenute sufficienti”, mi risponde alzandosi nel contempo dal tavolo, come a dirmi che sull’argomento non dirà più niente.
Valparaiso è una delle città più affascinanti del Sud America, il cui centro storico è stato dichiarato Patrimonio Unesco dal 2003, è un museo a cielo aperto adagiato davanti all’Oceano Pacifico. Ha una struttura urbana caotica e disseminata su 42 colli che si caratterizza per le sue case colorate, per i palazzi coloniali belli e cadenti, per i murales, per le ripide e tortuose viuzze, per le scricchiolanti funicolari e l’atmosfera bohemien che si respira. In questa località dalle mille definizioni, sincopatica, cadente, pittoresca e poetica, in un comodo quartiere residenziale irto sulla cima del Cerro Bellavista si incontra… La Sebastiana, una delle tre “poesie immobiliari“ di Pablo Neruda.
L’ex residenza del poeta ha linee arrotondate che ricordano una nave, è articolata su più piani e una torre, con un terzo piano concepito come una gigantesca voliera da cui si gode una invidiabile e spettacolare vista della Baia della Città della Felicità, ecco un’altra definizione. In questa casa museo sono custoditi affetti, ricordi, bottiglie vuote, farfalle, pezzi di nave, oggetti bizzarri anche di modesto valore che però per il Premio Nobel per la Letteratura rappresentavano il più prezioso dei tesori.
Qui l’autore di Cento Sonetti d’amore e del Canto General (un poema epico con il quale il poeta rievoca il passato della sua terra e percorre simbolicamente le alte gradinate di Machu Pichu e dedica i suoi versi non allo splendore o alla potenza, ma all’umile schiavo che ha posato “pietra su pietra“) voleva riflettere l’atmosfera della sua terra di origine, Temuco, nel Sud del Cile, dove la gente poverissima accumulava i più disparati oggetti che potevano essere di una qualche utilità. In questo posto magico che incanta e rapisce i visitatori, dove la poesia non si esprime con le parole ma con gli oggetti Amalia, la ricercatrice siculo-australiana mi comunica che è molto triste perché l’indomani deve ripartire e non sa se rivedrà un’altra volta questo vero e proprio paradiso. Poiché non voglio essere banale non le rispondo con una delle solite frasi di circostanza… ma con un sorriso triste.