DITTAINO (ENNA) – Centinaia di litri di latte versati in segno di protesta. E stavolta non c’è nemmeno da piangere, come dice il proverbio, perché chi arriva a tanto ha finito le lacrime. E’ la scena drammatica andata in onda domenica in Sicilia, sulla scia delle proteste analoghe tenutesi nei giorni scorsi in Sardegna. Teatro della guerra del latte, stavolta, è stata l’Area Industriale del Dittaino. Dove in centinaia si sono dati appuntamento per dire no ad un mercato che strozza i produttori con prezzi insostenibili.
Scene drammatiche, appunto, indice di grave disagio per un settore che più di altri ha pagato la crisi e le scelte sbagliate degli ultimi anni. “Non abbiamo partecipato alla protesta di Enna, ma ne condividiamo le ragioni – spiega ai microfoni di Hashtag Sicilia Francesco La Mancusa, della Cooperativa Ce.la.fa – la base del prezzo del latte è troppo bassa. Noi siamo trasformatori, oltre che produttori, ma la base bassa porta ad avere prodotti finiti a prezzi che non permettono di sopravvivere in maniera dignitosa”.
Sulla bozza di accordo messa in campo dal Governo La Mancusa mostra parecchio disincanto. “Dal mio punto di vista il problema sta a monte – spiega il cooperatore – Ciò che succede non è un problema di calo dei consumi, come cercano di far credere, ma di gestione a livello nazionale delle quote di ingresso dei prodotti stranieri in Italia, latte, formaggi, derivati. Gli ultimi accordi sottoscritti dal Ministero delle Politiche Agricole a livello internazionale hanno portato all’ingresso di quote importanti di questi prodotti, qualitativamente e igienicamente non corrispondenti agli standard italiani”.
“Parliamo di Romania, Polonia, Marocco, Tunisia – dice ancora La Mancusa – in questi Paesi i prezzi sono molto più bassi dei nostri. Non essendoci tutele, quando il latte straniero arriva sul nostro mercato diventa di fatto concorrenza sleale. E’ scoppiato il comparto del latte perché noi produttori siamo l’anello debole della catena, facciamo sacrifici e lavoro senza vedere i risultati. L’industria è l’anello forte, che se non compra latte italiano non ha problemi a rifornirsi con quello straniero”.
Come affrontare la battaglia, dunque? “Trovare la sinergia sarebbe una grandissima cosa, da Confcooperative a Confagricoltura – dice il cooperatore – perché è una battaglia che ci coinvolge tutti e va affrontata a livello di Ministero. E’ stato penalizzato tutto il comparto con questi accordi, che incidono sul prodotto nazionale. Questo vale anche per altri settori, per i grani, per le carni: è mai possibile che un agnello venga venduto a 2,50 euro al chilo, mentre i nostri mercati sono invasi da prodotti che vengono da tutte le parti del mondo?”
Sul tavolo anche la vexata quaestio della difesa del Made in Italy, che per l’allevatore non dovrebbe essere soltanto uno slogan ma una battaglia vera. “Qui si tratta di regolamentare il mercato in modo da non soccombere alla concorrenza straniera – attacca La Mancusa – Il paradosso è che noi ci troviamo a dover affrontare norme stringenti per il made in Italy – con tutta la burocrazia italiana – mentre al contempo avvengono importazioni allo stato brado. Un’invasione selvaggia che riguarda troppi Paesi”.
Di fronte ad una situazione del genere è facile lasciarsi andare. “Molte scene a cui assistiamo sono di frustrazione – ammette La Mancusa – di chi non riesce a far fronte ai costi giornalieri di produzione. Abbiamo prodotti di altissimo livello qualitativo che però non riescono a determinare un equo prezzo sul mercato. Questo non è accettabile”.