Infrastrutture: la campana non deve suonare solo per il Nord ma anche per il Sud e per la Sicilia

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È vero: i gap infrastrutturali sono diffusi in tutto il Paese, ma lo sono ancor di più man mano che si scende lungo la Penisola. Nonostante questa elementare verità, non so per quale arcano motivo, ogni volta che si parla di opere da avviare o da completare vengono citate la Tav e le infrastrutture del Nord come se il resto del Paese contasse meno, venisse dopo, avesse meno esigenze. Differenze storiche anche nel campo delle infrastrutture che discendono dalle scelte sbagliate degli ultimi decenni e dal crollo degli investimenti, diminuiti dal 3% al 2% del Prodotto interno lordo nazionale.

Questa volontà di guardare ai diversi territori con occhi diversi è testimoniata – per fare un solo esempio – dal fatto che le ferrovie hanno investito dal 2000 al 2015: 44 miliardi di euro al Nord, 24 al Centro e 14 miliardi di euro al Sud. Le conseguenze sono: binari che portano verso il nulla; autostrade – in testa quelle siciliane – prive di una qualsiasi manutenzione degna di questo nome; strade che si perdono nelle campagne; bacini idrici vuoti che pure sarebbero vitali in territori dove la siccità la fa sempre da padrona.

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Per capire meglio la gravità della situazione basti dire che nel Meridione ci sono 7 grandi cantieri fermi per un valore di 3,1 miliardi di euro. Se si aggiungono i medi e piccoli cantieri si sale a 200 infrastrutture, cadute nell’oblio, dei quali cantieri si sono perse le speranze, che se aperti potrebbero generare un giro di affari di oltre 11 miliardi di euro.

E per quando riguarda la Sicilia una grande incompiuta da tempo immemorabile – oltre 50 anni – è l’itinerario Nord – Sud, la statale 117 che attraverso i Nebrodi dovrebbe unire con un collegamento veloce le due coste dell’isola. L’ultimo progetto portato avanti dall’Anas prevede grandi opere ingegneristiche tra viadotti e gallerie naturali e artificiali. Ma nonostante siano stati sbloccati i fondi (748 milioni di euro) i cantieri sono bloccati dal 2017.

Per non parlare della Catania-Ragusa che è diventata una sorta di araba fenice e di tante altre arterie strategiche che riguardano il sistema di collegamento delle aree interne, per le quali non si aprano mai i cantieri. Non meno problematica è la situazione nel campo ferroviario, caratterizzato nel Sud da linee chiuse o sospese, di un servizio regionale e locale pressoché assente, da tempi di percorrenza biblici: da Messina a Trapani oltre 7 ore, idem da Ragusa a Palermo, se poi si aggiungono i ritardi – quasi sempre in agguato – il viaggio diventa un’odissea.

Per non parlare infine – anche in prospettiva – dell’assenza dell’alta velocità. Quindi sebbene da più parti – a ragione – si continua a sostenere che le infrastrutture rappresentano delle determinanti dello sviluppo economico e competitivo dei territori, al pari di altri fattori come il capitale, il lavoro, il know tecnologico, il sistema infrastrutturale italiano continua a scontare un gap di almeno 20 anni rispetto agli altri Paesi evoluti di Europa, nonostante nella prima metà degli anni 70 l’Italia si collocasse ai primi posti, soprattutto nel campo delle autostrade.

Sbloccare i cantieri fermi e aprire quelli delle opere già finanziate dovrebbe essere il compito principale da portare avanti da parte dei governi nazionale e regionale se si vuole recuperare il terreno perduto e aiutare la filiera delle costruzioni. Un settore che cerca di risollevarsi dopo la crisi del 2008-2015 che ha visto una emorragia pressoché costante di imprese e posti di lavoro (quasi 80 mila imprese hanno chiuso i battenti e 590 mila sono i posti di lavoro persi in meno di 10 anni, con un tonfo del 32 per cento del valore aggiunto del comparto); crisi che soprattutto al Sud, e in Sicilia in particolare, è tutt’altro che finita.

L’Italia ha un problema ad attrarre investimenti esteri, ma da questo punto di vista il Mezzogiorno ha un problema ancora più grande. Ciò si desume dal fatto che gli investimenti esteri tra maggio del 2009 e aprile del 2017 sono stati diretti per 25,4 miliardi di euro al Centro – Nord e solo 4,7 miliardi di euro hanno preso la strada del Sud.

Quindi, poiché per attrarre investimenti esteri e per rendere competitivo il sistema delle nostre imprese la situazione delle infrastrutture non è irrilevante, smettiamola di menar il can per l’aia e facciamo in modo che la campana suoni anche per il Sud del nostro Paese.

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