Sono iniziati questa mattina i primi trasferimenti dal CARA di Mineo. A salire sul pullman che li condurrà verso il Centro di assistenza straordinaria di Trapani sono stati venticinque ospiti del Centro, cui dovrebbero aggiungersi in giornata altre venticinque persone che verranno indirizzate a strutture di Siracusa e Ragusa. Le operazioni di trasferimento vanno nella direzione del superamento e della chiusura del CARA di Mineo voluti dal Governo italiano, e in particolare dal vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini.
A lasciare il centro saranno in prima battuta migranti maschi, adulti e senza figli, mentre per i minori e le famiglie – ritenuti maggiormente vulnerabili – lo spostamento avverrà successivamente. Ad accompagnare i primi trasferimenti, comunicati per tempo ai migranti, vi saranno mediatori culturali e Forze dell’Ordine. Entro fine febbraio dovrebbero lasciare la struttura ancora un centinaio di ospiti. Il 17 febbraio è previsto il trasferimento di altre cinquanta unità, e ancora cinquanta dieci giorni dopo.
Il CARA di Mineo è tutt’oggi il maggiore dei Centri italiani, con circa milleduecento persone ospitate. Aperta nel 2011 dal Governo Berlusconi, secondo un rapporto di Medici per i diritti umani al 26 agosto 2014 la struttura ospitava 3792 persone (pari al 37% di tutte le presenze nei centri governativi in Italia). Una storia, quella del CARA, non esente da scandali e inchieste giudiziarie, tra cui quella della Procura di Catania per turbativa d’asta e falso sulla concessione dell’appalto dei servizi tra il 2011 e il 2014, in cui è indagato anche l’ex sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione. La prima udienza del processo è prevista per il prossimo 20 marzo.
Oggi i numeri si sono parecchio ridimensionati, ma il Governo ha comunicato la volontà di giungere alla chiusura del Centro entro il 2019. Si tratta della seconda struttura CARA a chiudere i battenti in Italia dopo quella di Castelnuovo (Roma). Una decisione che preoccupa gli oltre duecento lavoratori della struttura e le centinaia dell’indotto. Nei mesi scorsi, con il cambio della gestione, erano stati già in centosettanta a perdere il posto.
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