Nella stanza dello psicologo. Xenofobia, siamo tutti coinvolti?

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“Xenofobia”, dal greco xenos (straniero) e phobos (paura) ovvero «odio per gli stranieri, avversione contro tutto ciò che non appartiene alla propria nazione o etnia; ostilità pregiudiziale per gli stranieri». Quando parliamo di razzismo è bene sempre ribadire che esso può manifestarsi sia come contenuto manifesto, sia come contenuto latente.

Esistono infatti nuovi razzismi, che non vengono espressi direttamente, ma appunto in modo latente. A tal proposito, se ci viene chiesto di descrivere alcune caratteristiche da attribuire a persone di colore, con molta probabilità verranno fuori degli aggettivi quali “prestanza fisica”, “forza”, “potenza sessuale” e difficilmente, verranno invece espresse caratteristiche legate all’intelletto, che generalmente viene attribuito all’uomo bianco.

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E a proposito di xenofobia, proviamo ad osservare alcune dinamiche scaturite dai fatti di cronaca concernenti la nave “Diciotti”, con a bordo 177 migranti, alla quale è stato impedito per diversi giorni di sbarcare sulle coste italiane, e per ultimo il caso della “Sea Watch”, con a bordo 47 migranti, alla quale è toccato lo stesso trattamento, e quindi tenuta in mare per tanti giorni senza farla sbarcare sulle coste siciliane. Migranti “naufraghi” che diventano però nelle nostre menti, semplicemente, degli immigrati, dei clandestini, dei neri, dei terroristi, e chi più ne ha più ne metta per rinforzare questo processo inconscio di “disumanizzazione” che permette e legalizza ogni tipologia di violenza nei confronti dell’Altro.

Vorrei allora esplorare quali dinamiche inconsce possano intervenire, affinché una decisione come quella d’imporre il divieto di sbarco a dei naufraghi (uomini, donne, bambini), passi invece per l’opinione pubblica, come una normale azione diplomatica tra Stati, quando sappiamo invece che la Convenzione SAR di Amburgo del 1979 impone un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare ed il dovere di sbarcare i naufraghi in un porto sicuro (place of safety).

Se proviamo a ripercorrere i giorni in cui questi migranti sono stati tenuti in mare, possiamo notare come la maggior parte delle persone si lasciavano andare nelle loro discussioni in frasi del tipo “gli italiani sono senza casa e ci preoccupiamo per loro”, “un italiano aspetta mesi per una tac e ci scandalizziamo se questi stanno in mare per una settimana”, “aiutiamoli a casa loro”, “ci rubano il lavoro”, “sono dei terroristi”, perché li dobbiamo prendere tutti noi” e così via. In tutte queste frasi, fatte da luoghi comuni, i migranti vengono “disumanizzati”: infatti, non sono più bambini, donne, uomini, persone che soffrono, ma vengono invece svuotate da ogni aspetto umano per scatenare così tutta la rabbia e la violenza verbale di chi in quei giorni commentava i fatti.

Questa disumanizzazione può essere vista anche come la conseguenza di un processo di erosione empatica, per dirla alla Baron-Cohen. Quello che a mio modo di vedere sta succedendo è quindi una mancanza di empatia generalizzata, in altre parole quell’incapacità di riconoscere quello che qualcun altro stia provando o subendo. Una mancanza di empatia, che si manifesta in questi casi, nella forma estrema di erosione empatica investendo un numero consistente di persone che mettono in atto comportamenti xenofobi.

Un altro fenomeno, che i migranti suscitano nella maggior parte delle persone, è la paura di essere privati dei propri diritti, della propria terra, dal lavoro, ecc.. tutte paure che spingono le persone a erigere barricate e muri, per difendersi dai pericoli che il diverso porta nel nostro paese. Una paura che potrebbe essere letta come una regressione infantile: quando in una famiglia arriva un nuovo fratellino piccolo, generalmente suscita gelosia e paura nel fratello maggiore, che, pensando di essere privato dall’affetto e dalle cure materne, mette in atto fantasie inconsce omicide nei confronti del piccolo arrivato.

La psicoanalisi parlava di pulsione gregaria, dove il gregge rifiuta tutto ciò che è nuovo e insolito. Una paura che arriva con l’arrivo di un estraneo e che suscita un istinto gregario. E Freud arrivava a dire che l’uomo è un animale che vive in orda, un essere singolo appartenente a un’orda guidata da un capo supremo.

Termino quest’ articolo con un’altra riflessione su un altro fatto di cronaca avvenuto qualche giorno fa, dove in un questionario dell’Asl di Bolzano, per la valutazione neuropsichiatrica dei ragazzi delle scuole, si chiedeva agli insegnati di compilare il formulario indicando il “gruppo etnico o razza dell’alunno”. Un fatto che ha suscitato indignazione da parte degli insegnanti e che è stato subito chiarito il malinteso da parte dell’Asl. Questo fatto potrebbe richiamare vagamente quella “difesa della razza” dove veniva proclamata la superiorità della razza italica.

Ovviamente non siamo in quel periodo e non voglio alimentare allarmismi, ma fin quando si continuerà a contrappore un “noi” a “loro”, a ragionare in modo scisso, e a dividere oggetto buono e oggetto cattivo, i sentimenti di odio, paura, invidia, e avidità continueranno a diffondersi anche in quelle che potrebbero sembrare società avanzate.

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