CATANIA – E’ entrata in porto alle 10.11 di questa mattina la “Sea Watch”, con a bordo i quarantasette migranti recuperati dodici giorni fa al largo delle coste libiche. Una vicenda complessa, quella della nave Ong, rimasta per quasi una settimana al largo di Siracusa in attesa di un accordo internazionale sulla redistribuzione degli ospiti.
A preoccupare, in tutta la vicenda, erano sopratutto le condizioni dei minorenni presenti a bordo, circa quindici, per i quali il Tribunale dei Minori di Catania aveva chiesto lo sbarco già da alcuni giorni. E proprio la scelta di Catania come “porto sicuro” non è casuale: nel capoluogo etneo ci sono diversi centri ministeriali che potranno garantire l’accoglienza dei minori. Gli adulti, invece, dovrebbero essere indirizzati a Messina.
Ma come funziona in concreto l’accoglienza dei migranti minorenni? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Giuseppina Leda Adamo, Presidente dell’associazione Onlus del Centro Astalli di Catania che gestisce il centro di prima accoglienza per minori stranieri non accompagnati “Casa Don Pino Puglisi”. “La nostra mission è proprio l’accoglienza dei minori soli, che la prefettura e il Comune ci affidano quasi sempre direttamente allo sbarco – spiega ai microfoni di Hashtag Sicilia – in questi anni abbiamo vissuto bellissime esperienze, che ci hanno molto arricchito dal punto di vista umano. Al momento non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione da parte del Comune di Catania, ma se ci fosse la possibilità saremmo felici di fare qualcosa per questi giovani”.
L’avvocato non entra nelle polemiche nate in questi giorni, sopratutto in rete, sulla questione dei minori. Secondo molti, infatti, i “minorenni” sarebbero in realtà uomini fatti. “Sono uomini fatti perché sono stati costretti dalla vita a diventarlo – dice la presidente dell’associazione – se si mette un bambino a lavorare o a vivere per la strada a quattordici anni, è chiaro che crescerà prima. A parte lo sviluppo puberale, le esperienze vissute incidono sul processo di maturazione. Anche qui da noi ci sono ragazzi che sono molto giovani ma sembrano già uomini. Questo non vuol dire che lo siano da un punto di vista anagrafico”.
In ogni caso, puntualizza l’avvocato Adamo, l’età dichiarata dai migranti viene verificata nel corso del processo di accoglienza. “Gli sbarchi sono momenti molto caotici, con centinaia di persone da identificare – racconta – Quando un minore senza documenti dichiara un’età, la Questura ne prende atto, a meno che non vi sia un’evidente discrepanza tra l’età dichiarata e l’aspetto della persona. In ogni caso, al momento dello sbarco c’è un medico dell’ASP che ne verifica le condizioni di salute. In un secondo momento il minore viene affidato alle strutture, e nel caso di età dubbia sottoposto agli accertamenti medici”.
Dopo lo sbarco, la Prefettura informa il Tribunale comunicando i nomi dei minori e quest’ultimo provvede alla nomina di un Tutore per ciascuno di essi. “Vi sono delle convenzioni internazionali per la tutela dei minorenni, che siano stranieri o italiani – precisa l’avvocato – Nel momento in cui un minore straniero non è accompagnato dai genitori o da un parente prossimo che ne abbia la tutela, il Tribunale nomina un tutore che faccia le veci dei genitori. Una persona che ne abbia cura sotto gli aspetti legali e materiali. I tutori vengono adeguatamente formati, attraverso dei corsi patrocinati anche del Garante dell’Infanzia, e poi iscritti in una lista da cui il Tribunale può attingere”.
Il tutore selezionato conosce quindi il ragazzo ed inizia ad occuparsi della sua tutela. “Spesso non parlano la lingua, non sono in grado di comprendere, hanno bisogno di qualcuno che dia l’assenso in varie situazioni, per esempio nelle procedure di richiesta del permesso di soggiorno – ricorda il legale – Quando il minore va in audizione è confortato dalla presenza di una persona che lo tutela. Questo è importantissimo anche dal punto di vista psicologico. E ancora, il tutore verifica le condizioni di accoglienza del minore, se sia trattato bene, se abbia bisogno di qualcosa”.
Una sorta di piccolo genitore, dunque, che spesso sviluppa con il minore assegnato un rapporto empatico. Un racconto fatto anche di racconti drammatici. “Ricordo un ragazzino che fu buttato fuori di casa per essersi opposto al matrimonio della sorellina, una sposa bambina – racconta l’avvocato – L’Africa è un mondo a sé, lì è normale che un bambino di dodici anni possa essere cacciato da casa. Il ragazzino finì per strada, poi arrivò in Libia, lì venne torturato prima di imbarcarsi per l’Italia. Questo bambino aveva vissuto non solo il tradimento della propria nazione, che non seppe dargli un futuro, ma anche il tradimento della sua famiglia”.
“E’ solo una delle storie che mi vengono in mente – conclude la Presidente del Centro di prima accoglienza – ciascuno dei ragazzi che abbiamo accolto in questi anni portava con sé un carico di dolore che merita assoluto rispetto. Un rispetto che va al di là della politica e delle sue strumentalizzazioni, da una parte e dall’altra”.