“A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà”.
Era il 18 gennaio 1919 quando don Luigi Sturzo lanciava l’appello destinato a segnare la storia del popolarismo italiano e a restituire ai cattolici la propria vocazione politica. Un documento fondamentale, che a cento anni di distanza non smette di impressionare per attualità dei temi e profondità di visione.
Mentre in tutta Italia fervono le celebrazioni della ricorrenza, Hashtag Sicilia ha chiesto al professor Flavio Felice, Ordinario di Storia della Dottrine Politiche presso l’Università del Molise e studioso della materia, di tracciare un profilo di quell’avvenimento: “Non vi è dubbio che l’appello ai liberi e ai forti abbia rappresentato un evento fondamentale della nostra storia – dice ai nostri microfoni – come ho avuto modo di scrivere sul Sole24 Ore, lo storico Chabon lo definì ‘l’avvenimento più notevole della storia italiana del XX secolo’, mentre per Spadolini segnò ‘il taglio netto fra clericalismo e cattolicesimo sociale’. Ma tutto era iniziato, una quindicina di anni prima, nella vostra Caltagirone, insieme a pochi amici. Da lì Sturzo cominciò un percorso che lo avrebbe condotto a fondare un partito di respiro nazionale, di ispirazione cristiana, ma nel contempo aconfessionale, laico e autonomo dalle gerarchie. Per questo il sacerdote siciliano rifiutò sempre l’aggettivo di cattolico”.
In questo modo, prosegue il professor Felice, Sturzo si affrancava da un lato dalla “tentazione” di rappresentare il braccio secolare della Chiesa e dall’altro dalla pretesa di rappresentare la totalità dei cattolici italiani. Alla filosofia si anteponevano i fatti: “All’appello faceva seguito un programma politico definito e articolato – ricorda lo studioso – che prevedeva misure per l’integrità della famiglia, il voto alle donne, l’assistenza e la protezione dell’infanzia, l’attuazione di una legislazione sociale improntata alla cooperazione, alla riforma tributaria, alla riforma agraria, al decentramento amministrativo e alla libertà d’insegnamento, mente in politica estera il programma si allineava alla Società delle nazioni proclamandosi apertamente internazionalista e accettando i Quattordici punti di Wilson”.
Ma qual è oggi l’attualità del pensiero sturziano? “Il concetto di popolarismo è quanto mai attuale – dice ancora il professor Felice – perché nella sua definizione esso si oppone al populismo considerando il popolo come un’entità variegata e articolata più che un monolite omogeneo alla mercé del paternalismo di un leader. Questa visione contrastava sia con le ipocrisie della tradizione liberale italiana, sia con la visione marxista e socialista. Monopoli che Sturzo si proponeva di abbattere in nome della libertà, in tutti i campi dell’impegno civile politico, dall’insegnamento all’amministrazione locale, dalla rappresentanza politica e sindacale alla diffusione della proprietà e della piccola e media impresa. Una impostazione teorica maturata più tardi, negli anni dell’esilio a Londra per essersi opposto al fascismo”.
Ma l’attualità del pensiero studiano ha anche una chiave europea: “Le idee liberarli di Sturzo furono raccolte dai padri fondatori del processo d’integrazione europea – ricorda Felice – Egli credeva che come le società avevano saputo evolversi da un piano locale a istituzioni nazionali, così dovesse avvenire in campo europeo, passando da nazioni a gruppi internazionali e da gruppi continentali a gruppi intercontinentali, pur nel rispetto del principio di sussidiarietà”.
Una visione innovativa e profonda, appunto, che a cento anni di distanza non smette ancora di sorprendere. Certo la visione è ancora lungi dall’essere realizzata: “Molto è stato fatto, molto resta ancora da fare – conclude il professor Felice – certo le idee di Sturzo, di autentico pluralismo sociale e istituzionale, e la sua testimonianza contro il totalitarismo sono un patrimonio che dovrebbe appartenere a tutti gli italiani e che rappresenta un orizzonte da perseguire per i liberi e i forti di cento anni dopo”.