Sono le sei del mattino quando Saleh viene a prendere me e la mia compagna di viaggio sul suo taxi giallo brillante al Sunset Hotel di Petra, per accompagnarci al “Wadi Rum Nomads”, nel Deserto di Wadi Rum, vicino al confine con l’Arabia Saudita. “La mattina ascolto sempre Feyruz, una cantante libanese di 83 anni. Solo la mattina fino alle dieci”. La musica di Feyruz è la perfetta colonna sonora per questa alba nel deserto, attraversando i villaggi che dormono sul tragitto verso Sud da Petra a Wadi Rum.
Il silenzio del deserto è una sensazione che appartiene a questo luogo, così come vi appartengono la sabbia, le rocce, ognuna con il proprio nome, e i suoi abitanti. I Beduini lo chiamano “il nostro deserto”, il Wadi Rum, “Rum Valley”, anche detto “Valley of the Moon” (Valle della Luna), per la somiglianza con la topografia lunare.
La nostra guida Nowaf guida una Jeep e si ferma di tanto in tanto per delle brevi escursioni e per darci tempo di fare delle foto. La prima tappa è la fonte di Lawrence d’Arabia, ufficiale inglese che svolse un ruolo fondamentale per la Rivolta Araba per l’indipendenza dall’occupazione turca. Poi ci spostiamo alla Duna Rossa e infine al piccolo Canyon di Khaz’ Ali. Il nome viene dalla storia di Ali, giovane ricercato in tutto il deserto e famoso per la sua abilità di sfuggire agli inseguitori (“Khaz’” vuol dire appunto “saltare”).
Nowaf si ferma in un luogo tranquillo e isolato, stende un tappeto e inizia a preparare il pranzo, nel suo deserto (“my desert”). Una zuppa di fagioli, pomodoro e cipolla, accompagnata da Hummus, tonno, crema di melanzane, yogurt e pane arabo ci vengono serviti in questo luogo magico.
Il turismo rappresenta per i Beduini di Wadi Rum la principale risorsa. I tour, organizzati ormai da diverse agenzie di nomadi, portano ogni giorno gente da tutto il mondo a scoprire i tesori del deserto. E’ chiaramente una necessità, che loro vivono con allegria e spontaneità, ma mi lascia una nota amara nel cuore. Questi paesaggi onirici rimasti nascosti per secoli vengono privati pian piano della loro sacralità, sotto gli occhi del turista di passaggio che non sempre è rispettoso di ciò che calpesta.
Da Europei abbiamo visto molti luoghi di interesse storico, culturale o naturalistico perdere parte della loro magia perché invasi dal turismo di massa. Questa graduale perdita di bellezza e autenticità ci sembra ormai “normale”. Ma qui a Wadi Rum non posso fare a meno di notare un contrasto: i beduini lavorano sette giorni su sette da guide turistiche nel “loro deserto”, la loro vita ruota ormai intorno a queste escursioni e i loro ritmi cambiano. Quelle che prima erano le loro necessità di vita diventano esigenze dei visitatori. A loro non sembra importare e accolgono tutti con grande gioia e disponibilità.
La mattina ci svegliamo nel deserto di Wadi Rum, avvolte in coperte di pelo di capra, dopo una notte di pioggia ininterrotta. La sabbia rosso acceso ha assorbito tutta l’acqua della notte. Nowaf ci accoglie nella tenda comune con tè caldo zuccherato, caffè, biscotti al sesamo, pomodori, cetrioli, hummus, yogurt e pane arabo. Dopo una veloce colazione, ripartiamo verso il villaggio.
Di nuovo sul taxi di Saleh sfrecciamo verso Ovest in direzione Aqaba, sul Mar Rosso e poi verso Nord per la riserva di Dana. Il deserto ci guarda in lontananza, le montagne ci circondano possenti, con i loro colori di fuoco e cenere.
Arrivate alla reception di Feynan, Saleh ci lascia con la nostra nuova guida, che ci accompagna sulla sua Jeep fino all´Ecolodge. Giunti vicino alla scuola del villaggio, vediamo dei bambini rincorrerci e salutare.
Percorriamo otto chilometri di strada sterrata e giungiamo finalmente alla meta. Qui ci riceve Ali, gestore dell´Ecolodge di Feynan.
Alle nostre domande sul programma del giorno seguente risponde con un sorriso e una frase che rimane per me la più rappresentativa di questa cultura: “today today, tomorrow tomorrow”, “oggi è oggi, domani è domani”.
Fine seconda parte