CHIARAMONTE GULFI – Dopo una inaugurazione scoppiettante con due mostri sacri della scena nazionale, il Teatro Leonardo Sciascia di Chiaramonte Gulfi prosegue con la stagione organizzata dall’Amministrazione comunale e firmata da Mario Incudine martedì 18 dicembre alle ore 20.30 con La Signora delle Camelie, pièce ispirata al celebre romanzo di Alexander Dumas figlio, firmata dal regista veronese Matteo Tarasco (già affermatosi con spettacoli diretti e commissionati dall’Istituto Nazionale Dramma Antico, che cura anche adattamento e scene).
L’affascinante storia dell’amore infelice tra Margherita, la cortigiana più bella di Parigi, e Armando Duval, vedrà in scena tre beniamini del pubblico: Marianella Bargilli, una delle prime donne più affermate del teatro italiano che, nel ruolo della protagonista metterà o a nudo il lato oscuro dell’anima; Ruben Rigillo (figlio dell’attore Mariano che il grande pubblico ha imparato a conoscere grazie ai suoi numerosi ruoli nelle fiction televisive: da “Il Maresciallo Rocca” a “Centovetrine” fino a “Don Matteo”) nei panni di Armando Duval, Silvia Siravo (figlia degli attori Edoardo e Anna Teresa Rossini) nel ruolo di Prudenza, e con Carlo Greco che interpreta il padre di Armando. La Signora delle Camelie è una storia assoluta, spietata, estrema, cupa e disperata, senza margini di riscatto e senza limiti. Come il romanzo, anche lo spettacolo è un viaggio nel profondo dell’animo umano, dove le contraddizioni più aspre si fondono, per restituire un’immagine del mondo vividamente controversa.
«Mettere in scena La Signora delle Camelie – scrive Matteo Tarasco nelle note di regia – capolavoro della letteratura francese dell’Ottocento, che alla sua prima apparizione sconvolse l’immaginario collettivo, vuole essere un tentativo di riacquistare, attraverso la fascinazione del palcoscenico, i valori della parola poetica, che crediamo oggi debba imporsi su altri linguaggi che dicono e spiegano, ma non insegnano il senso. Mettere in scena La Signora delle Camelie significa essere appassionati, e dobbiamo essere fisici. Ci proveremo, consapevoli che sul palcoscenico, come nella vita, noi vediamo “persone” e non “storie”, e tanto meno sentiamo “pensieri”. Ciò che si svolge davanti ai nostri occhi sul palcoscenico non è una storia… La vita non ci racconta storie. Ogni storia è frutto della fantasia, dell’immaginazione, ogni storia è ciò che vediamo con l’occhio del cuore. Attraverso l’azione drammatica del cerchio fatale della Nemesi, che avvinghia ineludibilmente i personaggi della storia, s’intravede un altro indissolubile legame, quello economico, che costringe i personaggi a condividere un unico spazio vitale. Davanti al minimo segno di benessere materiale, l’essere umano è pronto a tutto, in questo mondo il denaro trasforma la fedeltà in infedeltà, l’amore in odio, la virtù in vizio, il vizio in virtù, il servo in padrone, l’insensatezza in giudizio e il giudizio in insensatezza. Poiché il denaro, in quanto valore astratto, mescola e scambia tutte le cose, il denaro è in generale una mescolanza”.
«In questa storia ci sono soltanto colpevoli e ognuno porta con sé la propria condanna – prosegue Tarasco – in un mondo che costringe le persone a rapporti mostruosi e selvaggi, li condanna a vivere nel circolo vizioso di viltà e vigliaccheria. Bestie umane si agitano sulla scena del mondo borghese. Il sentimento stilistico della regia incarnerà l’infausta fissità delle maschere tragiche e la minuta quotidianità della vita quotidiana di tardo Ottocento. Questo conflitto tre grandiose passioni e l’implacabilità del destino deve essere mostrato con la chiarezza e la severità compositiva di una fotografia ingiallita di Eugène Atget, con la radicalità espressionista di un autoritratto di Edward Munch, con la tendenza all’unità emozionale di un’opera di Verdi. La storia va immersa nell’atmosfera stantia e decadente del tetro locale notturno ove esercita come anima morta Margherita: un regno di tenebra, dove raramente filtra un raggio di sole».