CATANIA – Rappresentata per la prima volta il 6 dicembre 1918 al Teatro Quirino di Roma, Il giuoco delle parti di Luigi Pirandello è una tra le opere esegetiche della poetica pirandelliana dove il tema della maschera e dei ruoli imposti dalla vita sociale trova la sua massima espressione. In occasione del centenario del dramma, il Teatro della Città – Centro di Produzione Teatrale affida la prima delle due messinscene del Progetto Pirandello – che ormai da anni viene proposto come omaggio al più grande drammaturgo italiano del Novecento – al noto titolo che andrà in scena, nell’ambito della Stagione del Brancati, dal 13 al 23 dicembre al Piccolo Teatro della Città. A dirigere la pièce è il regista catanese Federico Magnano San Lio. Scene e costumi sono di Riccardo Perricone, le luci di Simone Raimondo.
Protagonista della messinscena è il grande attore Miko Magistro che interpreta il ruolo di Leone Gala, filosofo con la passione della cucina che lascia che la moglie Silia (Carmen Panarello) conduca liberamente una relazione con l’amante Guido Venanzi (Massimo Leggio). Ad affiancarli, un cast di bravissimi attori composto da Giovanni Carta (nei panni di Filippo), Fabio Costanzo (Barelli), Alessandro Sparacino (Dottor Spiga). E poi ancora, Alessandro Chiaramonte, Paolo Guagenti, Leandra Gurrieri, Vincenzo Ricca.
«Mettere in scena un testo di così grande importanza – spiega Federico Magnano San Lio – ha comportato per noi un forte confronto non solo con Pirandello ma anche con i grandi nomi del teatro italiano che in un secolo hanno interpretato Il giuoco delle parti. Abbiamo voluto proporre una versione cercando anche nell’allestimento scenografico non naturalistico di far emergere la grande forza del testo concentrandoci nella cura dell’interpretazione dei personaggi che ha richiesto un lavoro profondo. Grande responsabilità che, per i teatranti, ha il sapore di un privilegio». La storia è, appunto, quella di un lucido costruttore di “parti”, Leone Gala, che risolve il suo fallimento coniugale nell’imperturbabile ozio della sua raffinata cucina. Esigenza innescata dalla necessità di “difenderti dal male che la vita fa a tutti inevitabilmente… contentarsi, non più di vivere per sé, ma di guardar vivere gli altri, e anche noi stessi, da fuori, per quel poco che pur si è costretti a vivere”.
«Gli vien facile – spiega Magnano San Lio – uccidere i sentimenti, divertirsi con le pene degli altri, svuotare la vita del suo contenuto di passioni e infilzare il guscio dell’uovo con l’acuminato ago del concetto, farlo girare e buttare via il sentimento, misurare con la sua sorridente e superiore disperazione la pena modesta, inevitabilmente relativa, di chi gli vive intorno. La genialità di Pirandello sta proprio nel riuscire a sintetizzare nella scrittura teatrale l’intrigato mondo interiore dei personaggi, riuscendo a raccontare drammi esistenziali anche attraverso i modi e i tempi della commedia, se di commedia si può ancora parlare in questa circostanza, dove il genere teatrale è superato, ancora una volta, nella sua “forma” tradizionale per approdare ad una sintesi del comico/tragico/drammatico in cui l’abilità del drammaturgo si rivela in modo sublime».