Dal 17 novembre i Gilets Jaunes hanno messo a ferro e fuoco Parigi e tante altre città francesi. Ad accendere la miccia della protesta (che purtroppo è già sfociata in gravi atti di violenza con morti e feriti) è stato un video diventato virale, pubblicato il 18 ottobre da una musicista, una signora bretone che critica le politiche del governo contro gli automobilisti. Un video che è stato visto da 6 milioni di persone.
Una miccia accesa a causa dell’aumento di 19 centesimi sul prezzo del carburante che presto è diventata un vasto incendio alimentato, oltre che dall’aumento delle imposte sui carburanti, anche dall’eccessiva disparità dei redditi, dai salari bloccati, dalla politica fiscale accusata di essere solo a vantaggio dei ricchi e dal disagio delle periferie.
Una rivolta, quella che ha investito il Paese transalpino, apolitica, nel senso che non è né di destra né di sinistra, non organizzata da sindacati o da associazioni di categoria, ma spontanea che non ha un programma costruttivo, che esprime solo un disagio profondo; che nasce dal distacco creatosi tra le élites e i ceti popolari e che ha come obiettivo la sconfitta della politica del Presidente Emmanuel Macron. Questi, dopo aver dichiarato che comprende le ragioni della protesta, ha detto però che non intende fare marcia indietro sull’aumento delle imposte sui carburanti ed ha proposto grandi cambiamenti per evitare “la fine del mondo”.
I protagonisti della lotta – che secondo i sondaggi gode del favore del 70 per cento dei francesi – hanno risposto: “anche noi vogliamo respirare un’aria meno inquinata ma prima di pensare alla fine del mondo dobbiamo pensare alla fine del mese“.
Una situazione complessa e difficile dalla quale non sarà semplice venirne fuori, anche perché si scontrano due visioni: una, quella di Macron, protesa verso il futuro, l’altra, quella dei Gilets Jaunes che invece guarda all’ immediato, a come difendere il loro potere di acquisto. Con l’aggravante che non ci sono soggetti in grado di proporre una mediazione. Non lo possono fare né l’ Assemblea Nazionale indebolita da un sistema basato “sull’uomo solo al comando“, né i partiti tradizionali e i sindacati per il semplice fatto che non sono stati in grado di percepire il profondo malessere che cova tra i lavoratori ed il ceto medio impoverito, nè a promuovere la protesta.
Il rifiuto da parte dei manifestanti di incontrare il Primo Ministro a causa della mancata concessione della diretta su Internet è emblematica del clima anti establishment che si respira.
Considerato che la ripresa economica ha solo sfiorato il Meridione d’Italia; che si preannuncia una nuova fase di recessione e che i problemi che sono stati alla base del voto dello scorso 4 marzo – vale a dire la rabbia e lo sdegno di vaste aree del Paese che vedono il potere centrale sordo e lontano, incapace di coniugare la prospettiva con i bisogni quotidiani dei cittadini – non sono stati risolti, è assolutamente necessario capire che tipo di insegnamenti scaturiscono dalla drammatica vicenda francese.
Due sono almeno le lezioni che dobbiamo trarre dagli scontri che stanno sconvolgendo la Francia. La prima: senza corpi intermedi, senza dialogo, senza la politica e con i partiti tradizionali ridotti a un ruolo insignificante è difficile, quasi impossibile ricucire gli strappi che si producono nella società e scommettere sul futuro.
Infatti, in un contesto privo di un ruolo attivo dei corpi intermedi le proteste, anche quelle che nascono da problemi e bisogni reali sono destinati a sfuggire al controllo dei promotori e a diventare preda delle frange più estreme e violente, appunto come sta accadendo in Francia. In questo senso la scelta di fare a meno del ruolo dei corpi intermedi (sindacati e associazioni di categoria), portata avanti in Italia dai governi che si sono succeduti negli ultimi quindici anni, compreso quello in carica, è stata ed è nefasta. Così come è stata disastrosa, nel contempo , la scelta di indebolire il ruolo dei partiti.
Non perché questi soggetti non meritassero le critiche che sono state loro rivolte, ma perché i corpi intermedi e i partiti sono assolutamente necessari per mediare idee, progetti e interessi diversi e per fare vivere compiutamente il sistema democratico. La seconda: i cittadini, in particolare quelli che sono stati penalizzati dalla globalizzazione e che accusano i sindacati e le élites politico- finanziarie di non averli difesi adeguatamente, non si accontentano più né di promesse che non si traducono quasi mai in fatti concreti , né di dichiarazioni roboanti che annunciano per gli italiani il paradiso in terra. Pretendono trasparenza da chi li governa e di contare di più nelle scelte degli esecutivi, invocando al riguardo assemblee consultive e referendum da promuovere sulle questioni che hanno un forte impatto sulle loro condizionidi vita.
Non chiedono la luna, ma un cambio di passo vero che permetta di guardare al futuro con qualche possibilità in più per loro e per i loro figli.