CATANIA – L’unica certezza è che il dissesto c’è. Manca solo la deliberazione del Consiglio Comunale – cui la Regione ha intimato di procedere entro trenta giorni – perché Catania si avvii ufficialmente sulla strada lunga e difficile del default. Chi ve l’abbia condotta, tuttavia, non è ancora chiaro: se le Amministrazioni degli anni passati, incapaci di portare a termine il riequilibrio, o il malcostume di troppi cittadini abituati ad evadere i tributi. Sono in molti a sedersi al tavolo delle responsabilità. Ma a quel tavolo c’è un convitato di pietra il cui ruolo non è stato ancora chiarito, come emerge dalla nostra conversazione con Mario Emanuele Alvano, giurista, dal 2011 segretario generale dell’ANCI Sicilia.
Segretario Alvano, Catania è ufficialmente in dissesto. Cosa succederà adesso?
Il dissesto ha la funzione di distinguere due momenti. La gestione del Comune rimarrà affidata all’Amministrazione per la parte ordinaria, mentre il pagamento del pregresso sarà affidato ad una commissione che dovrà essere nominata. Questo consentirà all’Ente di ripartire senza essere gravato, anche nella gestione ordinaria, da una massa debitoria imponente. Rispetto alle conseguenze, è evidente che si prevedono una serie di azioni che avranno un impatto sulle vite dei cittadini.
In città è caccia ai responsabili…
E’ comprensibile. Ma bisognerebbe interrogarsi anche sul perché dieci-quindici anni fa il dissesto di un Ente fosse un fatto assolutamente anomalo, che creava stupore nell’opinione pubblica, mentre oggi non è più così. Considerando il numero di Enti finiti in default negli ultimi anni, sta diventando un fatto frequente. Questo è un tema che andrebbe approfondito, per non rischiare di guardare sempre agli effetti senza guardare alle cause remote.
Quali sono queste cause?
Ci sono stati dei fattori nuovi, negli ultimi anni, che hanno inciso in maniera profonda e strutturale sul modo consolidato di gestire gli Enti. Fattori di carattere normativo, legati anzitutto al rapporto con i tributi locali. Su questo c’è stata una vera e propria rivoluzione copernicana. Si è passati da una finanza dei Comuni fondata esclusivamente – o quasi – su trasferimenti da parte dello Stato e della Regione, ad un bilancio basato quasi esclusivamente sui tributi locali.
Roma e Palermo hanno chiuso i rubinetti, insomma.
A ciò si è accompagnata la riforma dei sistemi contabili, divenuta pienamente operativa nel 2015, coincisa con una serie di azioni volte al contenimento dei costi della finanza pubblica. Ma pensiamo anche al cosiddetto federalismo fiscale, che di fatto ha applicato un principio già previsto con la legge 42/2009, che chiedeva ai territori di gestirsi sulla base di entrate proprie. Con una netta distinzione tra territori ricchi, dove queste entrate sono più cospicue, e territori dove il gettito è molto minore, come ad esempio la Sicilia.
Ma queste leggi non prevedevano una perequazione?
In realtà sì. Ma è chiaro che norme così significative, introdotte negli ultimi dieci anni non sono state ancora ammortizzate dai territori. C’è un problema di diversa capacità amministrativa. Processi normativi complessi andrebbero accompagnati da processi di sostegno, affinché l’applicazione delle norme avvenga in maniera effettiva. Questo non è avvenuto, spesso si è scritta la norma dicendo agli Enti locali di sbrigarsela da soli.
E infatti gli Enti faticano. Specialmente nel Meridione.
Allo stato noi riscontriamo in molti Comuni – non solo siciliani – una difficoltà nella gestione di quello che è diventato l’ufficio strategico del Comune, ovvero l’ufficio tributi. Anche perché in questi anni, a processi legislativi come quelli che ho appena descritto, si è accompagnato un assurdo blocco delle assunzioni. Andati in pensione dirigenti qualificati e capaci, non sono stati rimpiazzati con figure all’altezza. E questo può aver comportato un malfunzionamento degli uffici.
E mentre i Comuni venivano sottoposti a questa cura da cavallo, lo Stato centrale faceva gli stessi sacrifici?
Ci sono dati che ci dimostrano che i tagli operati a partire dal 2010 abbiano penalizzato maggiormente le Amministrazioni locali, molto più che quelle centrali. E spesso gli Enti locali si sono trovati ad attuare processi di riforma immaginati a livello nazionale. Penso al settore dei rifiuti, delle politiche sociali, dei servizi socio-sanitari. Riforme normative spesso poco chiare, che si prestano a varie interpretazioni e diventano materia di contenziosi.
Insomma le responsabilità non ricadono soltanto sui sindaci. Checchè se ne dica a Catania…
Tutt’oggi, nelle Leggi di stabilità dei vari Governi, ci sono norme che vanno ad intervenire sul Testo unico per gli Enti Locali. Quindi è un materia molto fluida. Nel dibattito mediatico e politico locale si considerano in modo molto parziale questi aspetti. Qui parliamo di fenomeni di lungo periodo, che non si possono definire soltanto con singole e specifiche responsabilità.