Catania, il 30 ottobre Leo Gullotta debutta al Teatro Verga con "Pensaci Giacomino!"

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CATANIA – «Del professor Toti porto in scena la condizione dell’anziano come la intendiamo oggi, non la vecchiaia. Un uomo certo avanti negli anni ma non spento, tanto egocentrico quanto anticonformista e autentico paladino dei valori».

Così Leo Gullotta parla del suo prossimo debutto in “Pensaci, Giacomino!”, aggiungendo un altro ruolo pirandelliano alla sua straordinaria carrellata di protagonisti. La nuova produzione è realizzata dal Teatro Stabile di Catania e dalla Compagnia Enfi Teatro. La prima nazionale avrà luogo al Teatro Verga di Catania il 30 ottobre con repliche fino all’11 novembre. Lo spettacolo sarà poi in tournée fino a febbraio e toccherà numerose città, tra cui Roma, Bologna, Gorizia, Lecce, Messina, Pescara.

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Nella lettura drammaturgica e nella regia di Fabio Grossi l’azione si concentra in un atto unico di un’ora e mezza. Accanto a Leo Gullotta agiscono in scena Liborio Natali, Rita Abela, Federica Bern, Valentina Gristina, Gaia Lo Vecchio, Marco Guglielmi, Valerio Santi e Sergio Mascherpa. Angela Gallaro Goracci firma la scena e costumi, Germano Mazzocchetti le musiche, Umile Vainieri le luci.

Grossi pospone l’azione negli anni ’50: «In piena ricostruzione – spiega – agli inizi del boom industriale che porterà il paese a godere “di unicorni dorati” dal profumo della libertà ritrovata. Un omaggio ai neoplasticisti completa il tutto. E ancora: dopo la versione in siciliano, Pirandello scrisse la commedia in italiano nel 1917, e ciò serve a consolidare la contemporaneità della storia raccontata e abbandonare fogge d’epoca. Faccio così lasciare da parte il Voi reverenziale, che porta subito a galla una condizione anacronistica. La scenografia è in uno stile pittorico che richiama l’espressionismo tedesco tanto caro a Pirandello. I protagonisti sono sovrastati da “Giganti”, atti a rappresentare l’enorme peso del becero commento, della calunnia sociale, del perbenismo fasullo dei baciapile. Non abbandoneranno mai la scena, proprio come “corsi e ricorsi storici” vocazionali, tòpoi pirandelliani sempre presenti nelle sue opere. La musica, non di semplice commento, ma forte e propositiva, propone “la voce critica della regia”, permutante liriche scritte da Pirandello e usate a commento della “tragedia civile” che si va consumando sulla scena».

La commedia pirandelliana è perciò un’audace denuncia: «Con questo testo – osserva Grossi – il premio Nobel agrigentino ha creato una vera e propria macchina da guerra, ancor oggi efficace per modi e valori. Come Leonardo, che con i suoi funzionanti artifici è stato anticipatore, così Pirandello usa il professor Toti, personaggio principale della vicenda, per snocciolare, come un rosario laico, circostanze di contemporanea efficacia. S’affrontano così la solitudine, la condizione femminile, l’arrivismo dei burocrati, l’invadenza dei rappresentanti ecclesiastici, l’uomo depauperato fino al riscatto d’orgoglio. L’Uomo giusto è solo nella società moderna, i suoi tempi sono rallentati contro quelli convulsi di una crescita che vede vincitore chi “arriva”. Da qua prende forza il burocrate, assertore dell’ordine e della funzionalità, mentre al contempo nasconde la voglia carrieristica dell’arrivista. Tra questi ingranaggi, chi ci rimette di più è la donna, che si vuole sottomessa al giudizio di una società benpensante. E penalizzato è anche il ruolo dell’insegnate bistrattato e mal pagato, ieri come oggi, in barba alla delicata funzione sociale che soprintende. Il potere temporale del clero, qua descritto attraverso la figura di un suo rappresentante, sta nel compiere con superba arroganza tutto ciò che disattende la missione della “Parola”, praticando l’intrigo dell’anticamera come un mandato superiore e inficiando negativamente la maggioranza silente che segue e promulga il Messaggio di Fraternità. Ma alla fine in questa “tragedia civile” a farne le spese è l’uomo stesso, che sostenendo il ruolo del “pupazzo” si piega come canna al vento alla volontà altrui, all’egoismo di quel tipo di famiglia che nega il sentimento di libertà dell’anima».

Da qui il matrimonio di facciata contratto da Agostino Toti per sottrarre Maddalena al destino di ragazza madre, dal momento che il coetaneo Giacomino, che ama e da cui è riamata, non ha il coraggio di assumersi le giuste responsabilità e vincere le resistenze della propria famiglia. Invece l’anziano professore garantirà alla giovane una pensione anche quando lui non ci sarà più: e ben venga la beffa allo Stato, su cui Toti è felice di rivalersi visto il magro stipendio percepito per i lunghi e faticosi anni d’insegnamento. E ha pure trovato il lavoro in banca a Giacomino. Ma il suo impegno non è solo materiale, bensì volto ad avere il “controllo” della situazione e creare le condizioni affinché la donna e il figlio vivano la pienezza affettiva dei legami, considerando il padre biologico come il vero marito e richiamando quest’ultimo ai doveri e alla verità dei sentimenti.

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