Probabilmente questo editoriale non piacerà ad alcuni lettori perché si muove in controtendenza rispetto all’aria che tira nel Paese, ma con il dovuto rispetto delle opinioni di tutti vi dico con franchezza: mi dispiace ma lo pubblico lo stesso.
Perché di fronte a una sequela impressionante di attentati, pestaggi, aggressioni e oltraggi che hanno avuto come bersaglio cittadini stranieri e persone con un colore della pelle diverso dal nostro non si può tacere.
Una scia di violenza cominciata il 3 febbraio a Macerata, dove un uomo a bordo di una Alfa 147 spara all’impazzata e ferisce 6 persone di origine straniera. Dirà dopo il fatto di aver sparato per vendicare Pamela, la povera ragazza fatta a pezzi da un ganese (circostanza questa confermata dalla confessione di chi è in cella per il delitto).
A questo misfatto ne sono seguiti tanti altri: il 4 marzo a Firenze dove un pensionato uccide un senegalese. Dichiarerà al momento dell’arresto di essere uscito di casa per suicidarsi, ma non avendo avuto il coraggio di farlo ha rivolto la sua rabbia sul primo passante.
Il 2 giugno nelle campagne calabresi viene ucciso a colpi di fucile un giovane sindacalista originario del Mali.
A questi gravi fatti di sangue seguono tante aggressioni, per fortuna con un epilogo meno tragico.
A Caserta vengono feriti a colpi di pistola 2 ragazzi del Mali, ospiti in una struttura Sprar del comune; a Napoli viene aggredito uno chef ventiduenne maliano; a Forlì in due distinti attentati vengono colpiti prima una donna e poi 2 persone; l’11 luglio a Latina vengono colpiti 2 nigeriani alla fermata dell’autobus; a Roma il 17 luglio un pensionato del Senato spara – dirà per provare l’arma – dal suo terrazzo al settimo piano e ferisce una bambina rom di 13 mesi; a Vicenza il 26 luglio un operaio di origine capoverdiana, mentre lavora su una pedana mobile, viene colpito alla schiena. A colpirlo un uomo che ha sparato dal suo terrazzo, che dichiarerà di aver sbagliato bersaglio: voleva colpire un piccione.
Il marocchino, scambiato per un ladro, ucciso ad Aprilia dopo un inseguimento scaturito presumibilmente da un pugno in faccia, e il ferimento di Daisy Osakue, la campionessa azzurra – nata in Italia – di origine nigeriana, colpita ad un occhio mentre stava tornando a casa da un uovo lanciato dal finestrino di una macchina: sono gli ultimi fatti – in ordine di tempo – particolarmente odiosi.
Non cito tutti gli episodi di discriminazione verificatesi in tante località italiane, compresa Catania, dove è stato impedito di salire su un pullman diretto a Taormina ad alcune persone di colore.
Non so se dietro tutti questi fatti di cronaca ci sia il movente razziale o una sorta di odio sovranista o goliardia, quel che so, però, con assoluta certezza, è che le vittime sono tutte di colore o comunque straniere.
Qualcuno sostiene che i giornali danno troppa enfasi ad alcuni episodi che riguardano gli stranieri e non fanno altrettanto per i tanti episodi che riguardano invece gli italiani, spesso vittime di aggressioni e angherie da parte di persone di colore. A questo proposito voglio dire, per quando mi riguarda, che è sacrosanto e giusto invocare per gli stessi reati, a prescindere da chi li ha commessi, la stessa attenzione da parte dei media. Così come è sacrosanto e giusto colpire intolleranti e clandestini perché la legge deve essere uguale per tutti, qualunque sia l’etnia o il colore della pelle.
Pertanto va condannato il pestaggio del giovane marocchino a Partinico, così come va condannata con fermezza la gravissima aggressione avvenuta a Pordenone, ai danni dell’autista di un bus e il ferimento di un giovane brigadiere dei carabinieri intervenuto in suo soccorso, ad opera di un ventottenne originario del Burkina Faso su cui pende un provvedimento di espulsione.
Qualche altro – come si suol dire – la butta in politica, sostenendo che si dà troppo spazio a queste cose perché si vuole colpire il governo.
Questi, ad eccezione di qualche dichiarazione di solidarietà del presidente del consiglio e dei due vice premier nei confronti di alcune vittime, minimizza, dicendo che l’Italia è un Paese accogliente e non è razzista.
Che il Bel Paese nella sua stragrande maggioranza sia una nazione accogliente e solidale con tutti, anche con gli stranieri di pelle scura non è una scoperta, né è una scoperta sostenere che razzismo ed xenofobia siano estranei ai nostri valori costituzionali e alla nostra cultura.
Il punto non è questo. Il punto è che sta crescendo (alimentato, purtroppo per il proprio tornaconto elettorale anche da qualche forza politica, in alcuni strati della popolazione, in particolare tra quelle persone che hanno subito maggiormente i colpi della crisi e che si sentono minacciati nei loro diritti e nelle loro aspirazioni; e tra gli anziani che avvertono un forte senso di paura e di insicurezza), un clima di intolleranza e di odio nei confronti dello straniero, dell’extracomunitario che viene percepito come una sorta di ladro del presente e del futuro degli italiani. Come qualcuno che minaccia la convivenza civile, distrugge la nostra identità e ci ruba la vita.
Di fronte a queste paure non basta fare appello ai principi di umana solidarietà, ne è sufficiente dire che apparteniamo tutti alla stessa razza: quella umana; o dire che siamo nati tutti sotto lo stesso cielo; così come non basta dire che certi comportamenti sono dettati da pregiudizi e sono figli dell’ignoranza – tutte cose giuste: occorre, invece, guardare la realtà in faccia, per quella che è.
Cercando di capire le ragioni delle paure di chi teme di perdere qualcosa, di chi si sente minacciato nei suoi diritti e nella sua tranquillità. Attivando, contemporaneamente, politiche di sostegno nei confronti di quelle fasce della popolazione che hanno pagato il tributo più alto alla crisi; garantendo maggiore sicurezza nei quartieri più a rischio; regolando gli arrivi sulla base delle reali possibilità di accoglienza e di integrazione dell’Italia; programmando i flussi migratori attraverso una gestione comune con i Paesi d’origine.
Insomma se facciamo far prevalere le ragioni del cuore e della ragione possiamo dare concretezza alla massima di Martin Luther King che dice “dopo aver imparato a nuotare come i pesci, a volare come gli uccelli, possiamo imparare l’arte di vivere come fratelli”.